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Uscite discografiche Novembre 2011: recensioni (2° parte)

Recensioni nuovi album di Tiziano Ferro, Nickelback, Kate Bush, Snow Patrol, Kaos One, Sepalcure e tanti altri…

pubblicato 28 Novembre 2011 aggiornato 30 Agosto 2020 18:25


Tiziano Ferro – L’Amore è Una Cosa Semplice: A tre anni di distanza dal clamoroso successo di “Alla Mia Età” (ultimo album in ordine di tempo a superare le 600.000 copie vendute in Italia), torna Tiziano Ferro con “L’Amore è Una Cosa Semplice”. Troviamo riuscita black music mellifua in “Hai delle Isole negli Occhi”, tradizione ed enfasi nella titletrack (dove iniziano ad emergere sensazioni di “già sentito”) e qualche pizzico di modernità per rimanere a passo con i tempi nel singolo “La Differenza tra Me e Te” e in “La Fine” scritta con Nesli (uno dei passaggi migliori del disco). Tiziano Ferro questa volta, contrariamente al “recente” passato, convince forse di più quando va a ripescare sonorità r&b (“Interludio: 10.000 scuse”), rispetto a quando ricerca a tutti i costi la canzone da cantare in coro (“Smeraldo”) o la ballad piena di sentimento (“L’Ultima Notte al Mondo”). Dopo sette tracce in cui Tiziano Ferro fa (bene, ma non meglio di altre volte) il Tiziano Ferro, arrivano l’iper obsoleta “Paura non Ho”, l’inutile bossanova di “TMV” e l’incravattato swing di “Quiero Vivir con Vos” a variare il tema. Se in “Ma so Proteggerti” ci sarebbe stato bene un duetto con Giorgia, nella conclusiva “Karma” arriva John Legend a dare il tocco internazionale. C’è chi parla di ulteriore maturazione, di punto d’arrivo e quant’altro… personalmente penso invece che “L’Amore è una Cosa Semplice” rappresenti un piccolo passo indietro all’interno di una carriera in crescita fino a ieri. Il Ferro del 2011, pur rimanendo un punto di riferimento all’interno del mainstream italiano, sembra ormai un cantante incanalato verso una direzione sempre più priva di sorprese. (z.) Voto: 5+

Kate Bush – 50 Words for Snow : torna Kate Bush con un disco inediti dopo il buon “Aerial” risalente ormai a sei anni fa. Sedetevi, anzi sdraiatevi e lasciate passare solo un filo di luce dalla finestra di camera. Bisogna essere privi di ogni tipo di stress, per “50 Words for Snow” ci vuole tempo, calma e pazienza. Sette brani che spaziano dai quasi sette minuti di “Among Angels” agli oltre tredici minuti di “Misty”. Presenti Andy Fairweather Low, Stephen Fry e Elton John (nel duetto di “Snowed In At Wheeler Street”). Destrutturazione del pop lungo ambienti dilatati: in un anno in cui le sue discepole si sono date battaglia a colpi di ottimi dischi, la maestra ci mette del suo e con grande coraggio alza ancora una volta il livello del concetto di art pop. L’unico album del 2011 a tema “invernale” che vale la pena acquistare. (z.) Voto: 7,5

Nickelback – Here and Now : I Nickelback passeranno alla storia… ma come uno dei più grandi bluff musicali di sempre. Sono anni e anni che continuano a vendere milioni di copie (soprattutto nel Nord America) con il loro pseudo-rock che alterna ballate ruffiane a riff potenti quanto banali, senza mai pagare dazio. Ma è risaputo che nel music business meritocrazia e giustizia non esistono. Se nel singolo di lancio, “When We Stand Together”, seppur nel modo più pacchiano possibile, troviamo una band per certi versi rinnovata, nel resto di “Here and Now” non si esce praticamente mai dai rodati stereotipi della band. Brani più tirati e iper-tamarri (“This Means War”, “Midnight Queen” o “Kiss It Goodbyw”) fanno da contorno al pop-rock melodico che ha fatto la fortuna della band canadese (“Lullaby”, “Trying Not To Love You” o “Don’t Ever Let It End”). Creatività ai minimi storici per l’ennesimo dozzinale album dei Nickelback. (z.) Voto: 4

Snow Patrol – Fallen Empires: imperi che cadono quelli raccontati dagli Snow Patrol… qualche riferimento “interno”??? Sì perche la band di Gary Lightbody, dopo essere esplosa tra gli appassionati con il buon “Final Straw” del 2003 e dopo aver raggiunto le grandi masse con “Eyes Open” (che conteneva la hit da telefilm “Chasing Cars”), riuscì a vanificare tutto o quasi con il mezzo flop di “A Hundred Million Suns” (2008). In una parabola discendente, che per certi versi può ricordare quella dei Keane, la band britannica esce oggi con la loro ultima fatica che ha il sapore classico del “disco di transizione”: piccole nuove (per loro…) idee ancora poco a fuoco, placate dal solito pop rock da stadio da ennesimi wannabe-U2 (o Coldplay… o scegliete voi…) che qualche anno fa regalava molte più emozioni. Evidentemente agli 80.000 inglesi che hanno acquistato a scatola chiusa il disco nella prima settimana, tutto ciò interessa il giusto. (z.) Voto: 5,5

Sepalcure – Sepalcure : distinguere la scena dubstep “buona” da quella “cattiva”, relegando alla prima le sonorità maggiormente legate a attitudini vicine tanto alla Uk Garage/2-Step tanto ai suoni post-Burial e alla seconda le sonorità truzzo-oriented che ammiccano in modo sfacciato e irritante alle chart, è probabilmente sbagliato. Fatto sta che questo debutto dei Sepalcure (ovvero Praveen Sharma e Travis Stewart, ovvero Machinedrum) rientra perfettamente nella prima categoria, creando un ideale punto di congiunzione tra UK e USA (arrivano da New York), tra pesanti dosi di dub-garage, tribal-step, frammenti di soul vocal e reminescenze da house-club americano anni ’90. (z.) Voto: 7

Cher Lloyd – Sticks + Stones : quando si dice “prodotto”… il pacchetto Cher Lloyd è stato studiato nei minimi particolari, sin dai tempi di X Factor. C’è tutto quello che può far presa sulle teenager inglesi dei nostri giorni: stupidità electro-pop, un briciolo di spacconaggine pseudo-rap e un pizzico di quella paraculata che purtroppo oggi viene spacciata per dubstep. Per non farsi mancare nulla, ci pensano Busta Rhymes e Mike Posner a dare un tocco di american-style… chissà che non arrivi il successo anche dall’altra parte dell’oceano, dove dovrà vedersela con Nicki Minaj. (z.) Voto: 4

Pixie Lott – Young Foolish Happy : senza citare tutte le volte Caparezza, ecco Pixie Lott alle prese con il secondo album della sua carriera. “Young Foolish Happy” esce a due anni di distanza dal botto iniziale (abbastanza limitato all’UK) di “Turn It Up” e della hit “Mama Do (Uh Oh, Uh Oh)”, due anni che hanno visto mutare il mondo del glitter-pop verso qualcosa di sempre più sfacciato e provocatorio e dal mediocre debutto in 18° posizione, sembra non esserci più tanto posto per il pop “acqua e sapone” (fino ad un certo punto…) di Pixie Lott: non c’è nulla di scandalosamente trash o musicalmente offensivo, ma da “Young Foolish Happy” traspare proprio il senso di opera insignificante. Scialbo e insipido. (z.) Voto: 4,5

Susan Boyle – Someone to Watch Over Me : altra dimostrazione di come l’equazione “belle canzoni+bella voce=bel disco” non sia sempre valida. Prodotto da scaffale da supermercato affollato in periodo pre-natalizio. (z.) Voto: 4,5

Daughtry – Break the Spell : la band dell’ex-American Idol Chris Daughtry probabilmente non è migliore di quella di Chad Kroeger (vedi sopra), ma almeno sono “solo” tre album che ripetono la stessa formula (di zero interesse fin dagli esordi…) e almeno qui in Italia non ce li propinano fino allo sfinimento. (z.) Voto: 5-

Mac Miller – Blue Slide Park : qualcuno si ricorda ancora di Asher Roth? Ecco… questa è probabilmente la fine che farà anche Mac Miller, white-rapper al debutto discografico con “Blue Slide Park”. Forse “Donald Trump” non è disastrosa quanto “I Love College”, ma nonostante l’età, per lui è difficile prevedere un futuro da rapper credibile. In “Blue Slide Park” mette sul tavolo le sue carte vincenti (pop-rap, vagamente nineties, semplice e fresco) che però sotto nascondono grossi limiti, legati a motivi anagrafici… ma non solo. “Blue Slide Park” ha debuttato al n.1 in USA con quasi 150.000 copie vendute… facile pensare che il 95% di quelle copie siano state acquistate da un pubblico under-25, un pubblico che in breve tempo maturerà, cambiando i propri gusti musicali e passerà ad altro, lasciando Mac Miller nel dimenticatoio. L’unico modo per evitare questo destino è aggrapparsi come un parassita a Clams Casino, che qui produce due brani: “My Team” e “One Last Thing”. (z.) Voto: 5+

Bill Ryder-Jones – If… : il nome Bill Ryder-Jones probabilmente non vi dice nulla, ma era il chitarrista dei The Coral e se anche questo nome non vi dice nulla… beh, avete sbagliato blog, qui si parla di musica. Abbandonata la main band, Bill come un novello Frusciante si è messo in proprio intraprendendo una carriera più intimista e malinconica. “If…” è il primo album a suo nome e si tratta di una sorta di soundtrack basata sul romanzo “If On A Winter’s Night A Traveller” di Italo Calvino. Brani generalmente strumentali di folk orchestrato, ai quali solo a tratti fanno da contorno melodie vocali degne di Nick Drake o Elliot Smith. Un album dolce, emozionante e a conti fatti decisamente riuscito. (z.) Voto: 7

Korallreven – An Album by Korallreven: se continua così, ogni mese mi toccherà parlare di un disco di debutto di un duo dream-pop. Tendenza o meno, gli svedesi Korallreven sono Marcus Joons e Daniel Tjäder (già nelle file dei The Radio Dept.) e pubblicano per la Acephale la loro opera prima: “An Album by Korallreven”. Tanti anni ’80 e tante melodie ariose (presenzia anche Julianna Barwick), ma si respirano anche gli anni ’90 nella aceofbase-iana “Honey Mine” e nelle nascoste chitarre pseudo-latin di “The Truest Faith” (riferimenti ai New Order?), per poi sconfinare nel nuovo millennio con la chillwave di “Comin’ Closer”… e che dire della lunga e conclusiva “Comin’ Down”? Un disco vario e piacevole, ma in cui si fa ancora fatica a capire chi siano realmente i Korallreven. Voto: 6/7 (z.)

Birdy – Birdy : cosa si può dire di una ragazzina di 15 (QUINDICI) anni che realizza un album di cover di Bon Iver, The National, Cherry Ghost, Fleet Foxes, Phoenix e tanti altri, mentre le coetanee inglesi ascoltano Justin Bieber o Cher Lloyd?? Assolutamente nulla, soprattutto considerato che il risultato finale è tutt’altro che blasfemo. Certo stiamo pur sempre parlando di un semplice album di cover e la presenza di una major dietro fa venire qualche dubbio, ma per ora va benissimo così. Voto: 6+ (z.)

Kaos One – Post Scripta : Kaos One è il più grande rapper italiano di sempre?? Probabilmente sì. “Fastidio” è il più importante album rap italiano di sempre?? La risposta è sempre la stessa… probabilmente sì. Dopo il sottovalutato “Karma” del 2007, nonostante parecchia attività live, nessuno si sarebbe aspettato un suo ritorno discografico così improvviso: dal momento della notizia (boom tra i blog e forum degli appassionati) al momento dell’uscita è passato pochissimo tempo… tattica di marketing che possono permettersi solo personaggi di culto come lui. “Post Scripta”, diciamolo, non verrà di certo ricordato come il miglior lavoro di Kaos One e, nonostante piccoli e opportuni (siamo sicuri?) ammodernamenti, inizia a mancare l’effetto sorpresa. Lui è sempre bravissimo, sia a livello di liriche che di espressività, però non riesce più a far venire la pelle d’oca con la costanza di quindici anni fa. Otto brani tra i quali spicca il trip hop di “Danse Macabre” quelli contenuti in “Post Scripta”, album che comunque ci fa rendere conto di quanto la scena rap made in Italy avesse bisogno del ritorno del suo messia. Voto: 7- (z.)

Lowline – Lowline : questi li avevo scoperti per caso più di tre anni fa in un momento musicalmente iperfamelico con il video di “Monitors”. All’epoca non c’era quasi nessuna informazione su di loro… e così è stato per molto tempo, fino a quest’anno, quando hanno (finalmente) deciso di pubblicare l’omonimo album di debutto. Pop/rock che evoca la loro Manchester a dosi di indie rock e post-punk, risultando decisamente piacevole lungo tutta la durata del disco. Il grosso problema è che se già nel 2008 erano un po’ fuori tempo massimo (dopo che i vari Interpol/Editors avevano già rivisitato in lungo e in largo la scena), oggi risultano esssere decisamente superati. Se si sorvola su questo aspetto, le dodici tracce che compongono “Lowline” possono essere delle ottime compagne di viaggio. Voto: 6+ (z.)

The Amazing – Gentle Stream : durante lo scorso decennio i Dungen hanno scritto pagine importanti della musica svedese tanto da essere visti come una sorta di Mars Volta europei musicalmente molto meno logorroici e pieni di sè. Reine Fiske, che nei Dungen è il chitarrista, da qualche anno è anche il leader degli The Amazing, con i quali ha appena pubblicato “Gentle Stream”. A livello di proposta musicale sono meno fulminati dei Dungen ma si muovono comunque all’interno della psichedelia rock, sporcandola con contaminazioni folk rock. Gran belle canzoni quelle contenute in “Gentle Stream”, 8 passaggi in cui si alternano lontani ricordi di Nick Drake, Pink Floyd o Jethro Tull e armonie melodiche sognanti ed evocative. Voto: 7- (z.)

Tycho – Dive Voto: 6,5 (z.)
Esperanza – Esperanza Voto: 7 (z.)
Pianos Become The Teeth – The Lack Long After Voto: 7- (z.)
65daysofstatic – Silent Running Voto: 6 (z.)
JLS – Jukebox Voto: 3,5 (z.)
Thee Oh Sees – Carrion Crawler/Dream Voto: 6/7 (z.)
Vladislav Delay – Vantaa Voto: 6/7 (z.)
Esoteric – Paragon of Dissonance Voto: 7- (z.)
Mr. Oizo – Stade 2 Voto: 6/7 (z.)
Crookers – Dr.Gonzo Voto: 6,5 (z.)
Amycanbe – Mountain Whales Voto: 6/7 (z.)

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LEGENDA
10: la perfezione… non esiste
9: capolavoro, fra i migliori di sempre
8: grandissimo disco, probabilmente destinato a rimanere nella storia 5 stars1
7: album di ottimo livello, manca solo quel qualcosa che lo renda veramente memorabile 4 stars
6: discreto, passa abbastanza inosservato… innocuo 3 stelle
5: disco trascurabile, banale e poco degno di nota 2 stelle
4: album completamente inutile 1 stella
3: disco dannoso, difficile trovare di peggio.
2: neanche Justin Bieber
1: …

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