Home Recensioni musicali Uscite discografiche Giugno 2011: recensioni (1° parte)

Uscite discografiche Giugno 2011: recensioni (1° parte)

Uscite discografiche Giugno 2011: recensioni (1° parte)

pubblicato 3 Giugno 2011 aggiornato 30 Agosto 2020 21:08


I Cani – Il Sorprendente Album D’esordio de I Cani : in Italia, l’hype pre-debutto e il buzz diffuso fra social network/blog non ha ancora preso piede come altrove… i Cani hanno invertito la tendenza: per mesi una manciata di brani hanno spopolato in rete, aumentando di volta in volta l’attesa per l’album d’esordio (sorprendente). Che musica suonano? I Cani abbaiano… bau bau… Baustelle! Scemenze a parte, siamo di fronte a qualcosa di potenzialmente d-e-f-i-n-i-t-i-v-o, cross-target fra pubblico “indie” e “grande massa”… musica semplice quanto quella del miglior Battisti, tastierine, testi che sono la perfetta fotografia del quotidiano mondo “ggggiovane” di oggi, trattato con quella sottile ironia tipica di certo cantautorato romano (Max Gazzè) e caratterizzata dall’urgenza (resisterà nel tempo? Difficile…) e da slogan degni di Vasco… Brondi. (z.) Voto: 7-

Bon Iver – Bon Iver, Bon Iver : Bonnie Prince Billy ci aveva visto lungo… basti pensare al numero di cantautori americani barbuti venuti alla luce durante lo scorso decennio. Un genere (quello cantautorale), per sua natura, poco propenso ad uscire da certi confini. La differenza la fanno la voce e i testi… in questo Bon Iver (o meglio Justin Vernon) ha dimostrato da subito il suo talento, facendo innamorare tutti (Kanye West compreso) con il grande “For Emma, Forever Ago” del 2007. Il ritorno, atteso come pochi lavori previsti per il 2011, non è un disco dall’impatto immediato. I suoni sono molto più stratificati e gli arrangiamenti più ricchi (presente anche Colin Stetson), attingendo a influenze inaspettate (anche anni ’80), continuando così la “moda” delle “rivoluzioni” sonore avvenute già in casa Iron & Wine e soprattutto Sufjan Stevens con i loro rispettivi ultimi album. Cantautorato che punta sempre più in alto. (z.) Voto: 7,5

Arctic Monkeys – Suck It And See : dopo un debutto come “Whatever People…”, gli Arctic Monkeys potevano diventare veramente grandi e riempire gli stadi quanto i Coldplay o i Muse. E’ andata bene con il secondo “Favourite Worst Nightmare” (affinando le sonorità dell’esordio), poi un deciso cambio di coordinate (“Humbug“), una maturità improvvisa, lodevole ma forse non riuscita al 100%. Con quel disco hanno perso l’occasione di puntare in alto, ed è forse anche per questo che il nuovo “Suck It And See” sembra essere stato realizzato senza troppa spinta o voglia di sorprendere. Si parte da “Humbug” e si smussano gli angoli… rock solare e poco impegnativo, orecchiabile ma non paraculo: è evidente che alla band ormai non importi più nulla di realizzare dischi con singoli killer… vanno avanti per la loro strada, una strada più che onesta, senza però quelle caratteristiche in grado di fare realmente la differenza. (z.) Voto: 6/7

Patrick Wolf – Lupercalia : quando sento dire frasi del tipo “è giovane, diamogli tempo” mi verrebbe sempre da rispondere citando Patrick Wolf, uno che a 26 anni aveva già alle spalle quattro dischi, tutti di alto livello. Patrick Wolf, uno più grandi talenti degli ultimi dieci anni, con “Lupercalia” ha deciso di realizzare il suo disco pop al 100%. Qualche tentazione l’ha sempre avuta, ma sempre ben mascherata, in “Lupercalia”, invece si mette in gioco in modo sfacciato. Pop dal sapore eighties e con aperture corali-barocche degne degli Arcade Fire. Album destinato a dividere: qualcuno dirà che mira a diventare la versione maschile di Lady Gaga, altri invece lo ameranno incondizionatamente. Che Patrick Wolf possa fare molto di meglio è indubbio (e lo ha già dimostrato), ma preferisco pensare a questo “Lupercalia” come un semplice sfizio da scheletro nell’armadio, probabilmente sia suo… che mio, dato che sto facendo molta fatica a toglierlo dalle cuffie. (z.) Voto: 6/7

Death Cab for Cutie – Codes and Keys: probabilmente non saranno mai ricordati fra i più grandi, ma durante gli anni zero questi nerd americani sono stati fra i nomi di punta dell’indie (pop)rock a livello mondiale. Il loro più grande pregio è sempre stato quello di modellare il pop/rock senza grossi guizzi, ma con alcune piccole caratteristiche in grado di elvarli dall’aurea mediocritas. Una tensione di fondo è presente in più di uno dei brani contenuti in “Codes and Keys” e colpiscono in positivo alcuni passaggi meno scontati (quasi prog-kraut), il problema è che dopo i picchi di metà decennio (“Transatlanticism” e “Plans”) la band sta iniziando a finire la benzina e gli spunti melodici sembrano sempre più forzati. Alcuni chiamano a gran voce un ritorno dei The Postal Service (side project di Ben Gibbard, leader della band) e a ben vedere è difficile dargli torto… (z.) Voto: 6+

Cults – Cults : le cattaristiche classifiche del debutto con il botto ci sono tutte: moniker semplice ed efficace, hype importante, immagine cool (i Kills bastano e avanzano però…), città simbolo (New York) e un’innata capacità di scrivere bei pezzi pop. Di musica tranquillamente definibile “pop” è infatti composto l’omonimo esordio. Pop che si rifà al Phil Spector sound anni ’60 e alle suggestioni dream/fuzz degli ultimissimi tempi (senza risultare solari come i Best Coast). Disco molto gradevole, a tratti adorabile, ma sinceramente non riesco a giustificare tutte le attenzioni che li circondano. (z.) Voto: 6/7

John Maus – We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves : quante volte negli ultimi anni si è parlato di revival anni ’80? Forse troppe… ma proprio quando si ha l’impressione che si sia raggiunta la saturazione, spunta sempre un nome “nuovo” a rimescolare le carte in tavola. John Maus nuovo nuovo non lo è (aveva già due album all’attivo), ma ammetto di non aver mai ascoltato nulla di suo prima di questo “We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves”… attitudine a bassa fedeltà, veri e propri muri di synth (synth-gaze?) che tendono a nascondere il tipico vocione eighties (Ian Curtis, Peter Murphy ecc… scegliete voi) e atmosfere gelide… come un tuffo in quel mare notturno rappresentato in copertina. (z.) Voto: 7-

The Vines – Future Primitive : la carriera dei The Vines ha seguito la parabola tipica delle non-next big thing degli anni zero: buon debutto, iperchiacchierato e successivi lavori sempre meno fortunati. La formula dei The Vines era semplice quanto azzeccata (per un piccolo periodo se la giocarono con gli Strokes): orecchiabile ed energico mix di garage-grunge e pop molto british (Beatles). Lo sfortunato (e poco ispirato) predecessore “Melodia” aveva lanciato qualche dubbio sul futuro della band, ma evidentemente non si sono dati per vinti e oggi propone questo “Future Primitive” che a dirla tutta non è altro che una raccolta di brani in puro Vines-style (potrebbero essere presi da uno qualsiasi dei vecchi lavori)… un disco probabilmente onesto, ma decisamente trascurabile. (z.) Voto: 5,5

She Wants Revenge – Valleyheart : hypeizzati sul finire del 2005, partendo dal revival degli Interpol (ma anticipando un bel numero di altre band) i She Wants Revenge avevano raggiunto un buon successo con il loro gradevole e omonimo disco di debutto. Con troppa fretta tentarono di replicare con il deludente “This Is Forever” (2007). In questi quattro anni i più probabilmente hanno fatto in tempo a dimenticarseli, ma loro ci riprovano con “Valleyheart”, un disco che non tradisce il vecchio trademark sound (potevano essere i Sisters Of Mercy dei ’00…) ma che allo stesso tempo accentua preoccupanti tentativi di anonimato pop/rock (vedi il singolo “Must Be The One”, vagamente U2). Un ritorno che farà contenti (forse) i fan e pochissimi altri. (z.) Voto: 5

Owl City – All Things Bright and Beautiful: per uno strano gioco del destino, all’interno dello stesso post trovano spazio Death Cab for Cutie e Owl City. Non è difficile infatti notare… come dire… più di una somiglianza tra le voce/melodie di Ben Gibbard e quelle di Adam Young (alias Owl City). Ora, il buon Adam ogni tanto azzecca anche un paio di canzoncine carine e riuscite (la mega hit “Fireflies” in fin dei conti era piacevole), ma non riesco proprio a capire perchè mai bisognerebbe scegliere di passare per Owl City (che sembra fare apposta a minare la propria credibilità con collaborazioni da facepalm) al posto dei DCFC/Postal Service. Dispiace perchè a contrario di altri prodotti a dir poco discutibili (da Don Omar a Chris Brown), Owl City almeno è innocuo… (z.) Voto: 4/5

Blondie – Panic of Girls : Una doppia carriera quella dei Blondie di Debbie Harry: dopo le ottime e importanti intuizioni della seconda metà degli anni ’70, nel 1982 (dopo il dimenticabile “The Hunter”) uno stop che sembrava definitivo, fino al ritorno (di grande successo) con “No Exit” nel 1999, trascinato dalla famosa “Maria”. I Blondie post-99 sono un gruppo che non ha molto da dare, se non qualche singolo di fresco power pop dal sapore europeo da passare in radio. “Panic of Girls” non si distacca da queste prospettive, con brani piacevli che scivolano via senza lasciare il segno. (z.) Voto: 5/6

Anouk – To Get Her Together : in Italia (e un po’ in tutto il mondo), Anouk resterà sempre “quella di Nobody’s Wife”, ma in madrepatria, l’Olanda, continua a godere di un successo di dimensioni enormi (paragonabile a quello che da noi ha una Laura Pausini…). Messe da parte già da tempo le vesti della “rocker incazzata”, con il tempo è riuscita a trovare un suond più personale. In “To Get Her Toghether” affonda il pugno nelle acque che in passato ha sempre solamente accarezzato, ovvero quelle del soul, del blues e dell’r&b. Brani che, per intenderci, non sfigurerebbero in un disco di una Joss Stone. Una patina plasticosa di base tarpa le ali ad un discreto disco che non avrebbe comunque avuto abbastanza spunti degni di nota. (z.) Voto: 6

Art Brut – Brilliant! Tragic! : “Formed a Band”, “My Little Brother”, “Good Weekend” e “Emily Kane”… veri colpi di proiettile contenuti nel disco d’esordio degli Art Brut, “Bang Bang Rock & Roll”. Inni da indie club semplicemente perfetti nella loro… attitudine “brainless”. Un gioco, il loro, bello finchè è durato… perchè già dal successivo “It’s a Bit Complicated” hanno mostrato più di una difficoltà nell’evolvere. Ci provano con più convinzione in questo “Brilliant! Tragic!”, in cui però si sente fin troppo l’influenza del produttore… un certo Frank Black dei Pixies. Insomma, hanno smesso di copiare se stessi, ma per il momento somigliano più ad altre band che a degli Art Brut finalmente maturi. (z.) Voto: 6-

Thurston Moore – Demolished Thoughts: cosa succede ai vecchi rocker maledetti della scena alternative?? Eddie Vedder si diverte con l’ukelele, J Mascis si scopre acustico e ora anche Thurston Moore abbandona le chitarre elettriche, facendosi produrre da Beck (tra l’altro anche Stephen Malkmus farà lo stesso)? Beh… ben venga se i risultati sono di questo livello. L’influenza del Beck più acustico e riflessivo si sente, ma è la classe di Thurston che, soprattutto in alcuni pezzi, viene fuori con una semplicità esemplare. (z.) Voto: 6/7

Dot Dot Curve – I’m Still Here : sentivo le prime hit di Britney Spears e pensavo che si fosse raggiunto il peggio, poi sono arrivati i Blue ad abbassare ulteriormente l’asticella, poi i Tokio Hotel, Attack Attack! e Justin Bieber… ma qui siamo davvero di fronte ad una delle cose più inslulse e irritanti che il mondo della musica (oddio… musica…) abbia mai proposto. (z.) Voto: 2

Clams Casino – Instrumentals Voto: 7- (z.)
White Denim – D Voto: 6/7 (z.)
Psychedelic Horseshit – Laced Voto: 6 (z.)
Mads Langer – Behold Voto: 5- (z.)
Journey – Eclipse Voto: 6 (z.)
Altare Of Plagues – Mammal Voto: 6/7 (z.)
Arch Enemy – Khaos Legions Voto: 5 (z.)
Sophie Ellis Bextor – Make a Scene Voto: 5 (z.)
Urge Overkill – Rock&Roll Submarine Voto: 6 (z.)
Flogging Molly – Speed of Darkness Voto: 6 (z.)
Primordial – Redemption at the Puritan’s Hand Voto: 6,5 (z.)
The Cars – Move Like This Voto: 6,5 (z.)
Manchester Orchestra – Simple Math Voto: 6,5 (z.)
—————

LEGENDA
10: la perfezione… non esiste
9: capolavoro, fra i migliori di sempre
8: grandissimo disco, probabilmente destinato a rimanere nella storia
7: album di ottimo livello, manca solo quel qualcosa che lo renda veramente memorabile
6: discreto, passa abbastanza inosservato… innocuo
5: disco trascurabile, banale e poco degno di nota
4: album completamente inutile
3: disco dannoso, difficile trovare di peggio.
2: neanche Justin Bieber
1: …

—— Precedenti ——

Maggio 2011 – 2° Parte
Maggio 2011 – 1° Parte
Aprile 2011 – 3° Parte
Aprile 2011 – 2° Parte
Aprile 2011 – 1° Parte
PRIMO TRIMESTRE 2011
Dicembre 2010
Novembre 2010 – 2° Parte
Novembre 2010 – 1° Parte
Ottobre 2010 – 2° Parte
Ottobre 2010 – 1° Parte
Settembre 2010 – 2° Parte
Settembre 2010 – 1° Parte
Agosto 2010

Recensioni musicali