Home Notizie Filippo Neviani, Nek: “Il disco si chiama come me perchè è il mio disco più personale” – intervista Soundsblog

Filippo Neviani, Nek: “Il disco si chiama come me perchè è il mio disco più personale” – intervista Soundsblog

Un disco in cui Nek ha anche suonato tutti gli strumenti, per essere più ‘rock’

12 Aprile 2013 09:34

Dopo 22 anni di carriera Nek torna con un nuovo disco di inediti che ‘si chiama come lui’, ovvero “Filippo Neviani”.

Il perchè lo abbiamo chiesto proprio a lui.

Come mai il disco si chiama come te?
Ho deciso di chiamare il disco come me perchè è l’album più naturale che io abbia scritto, più personale, più sentito. E’ venuto tutto naturalmente. Non che sia stato diverso nei dischi precedenti, ma qui sono più io, senza filtri. L’ho fatto anche per mio padre che non c’è più, perchè avrebbe sempre voluto vedere ‘Neviani’, il cognome di famiglia, sulla copertina di un mio disco.

Ma da ora in poi abbandonerai il tuo nome d’arte?
Non lo so, è una cosa che magari farà la gente. Lascio che siano loro a decidere, anche se la maggior parte dei miei fan, il mio pubblico, già mi chiama ‘Filippo’. Credo che a loro piaccia sapere che Nek continui ad esistere. A me una volta piaceva identificarmi con un nome d’arte, ma oggi mi sento bene anche con Filippo Neviani.

Hai suonato tu tutti gli strumenti sul disco (basso chitarra e batteria): un’impresa ardua?
La mia esigenza è di sorprendermi e sorprendere, è il mio mestiere. Sentivo questa esigenza di non avere intermediari: negli anni ho lavorato con grandi musicisti ma inevitabilmente, quando devo spiegargli come voglio la batteria o la chitarra, in questo processo si perde una parte della magia. Volevo evitare questo, oltre a sentirmi pronto per affrontare un’esperienza di accrescimento così forte. Ho abbandonato le sequenze, i sintetizzatori, i violini, e mi sono concetrato sugli strumenti che conosco meglio. Le composizioni poi le ho condivise con altri, ma in studio ad eseguirle ero soltanto io coadiuvato dal mio fonico.

Hai parlato di sonorità più ‘rock’ all’interno di questo lavoro…
Più rock rispetto al genere che faccio io di solito. E’ un genere che ho sempre ascoltato, sono un inguaribile nostalgico: dai Van Halen ai Police agli U2 passando per i Clash. Io non ho mai fatto questo genere musicale in modo esplicito, come citazione, ma volevo avvicinarmi a un colore più ‘rock’ perchè ne sentivo l’esigenza. Ho ascoltato molti gruppi sulla falsariga di quello che senti nel mio disco: i Muse, gli Editors, i Kings Of Leon, i Red Hot Chili Peppers. Da loro ho attinto qualcosa che poi mi è stato utile durante la messa a punto delle canzoni. Sono grandi gruppi che si rifanno secondo me al passato, rivitalizzandolo. I Muse fanno qualcosa di estremamente superbo: fanno una rivisitazione dei Queen in chiave moderna, molto più all’avanguardia, c’è più attenzione ai dettagli. I due gruppi sono nati in due epoche diverse: i Muse miscelano anche la musica elettronica, e bisogna farlo molto bene, i Queen miscelavano le sinfonie, ma anche i Muse hanno una predilezione per queste bellissime melodie operistiche. Io guardo a questi gruppi con molta riconoscenza, perchè al giorno d’oggi riuscire a trovare una precisa collocazione in cui ci sei solo tu che fai questo e ti chiami così…chapeau. Un po’ come hanno fatto i Police, che mischiavano il rock al reggae, o i Clash.

A proposito di Muse: la canzone che hai dedicato a tua figlia – “Dentro L’Anima” – contiene all’inizio un campionamento del battito del suo cuore registrato durante l’ecografia. Anche Matthew Bellamy ha fatto la stessa cosa all’inizio di “Follow Me”.
Inconsciamente avendo ascoltato i Muse…anche perchè poi, aspetta: io avevo aggiunto il cuore di Beatrice e dopo ho sentito il disco dei Muse. Perchè “Dentro L’Anima” io l’avevo scritta prima. E’ vero, mi sono accorto anche io di questa bellissima casualità.

In “Filippo Neviani” parli molto di te. E’ stato difficile scavare così dentro te stesso durante la lavorazione dell’album?
Sì. Là dove c’era la meraviglia davanti a una vita che nasce, c’era anche la vita di mio padre che stava morendo. E’ stato uno stare davanti all’uomo e ai suoi forti limiti, a quanto la vita più cambiare inevitabile, e a quanto ci si sente frustrati e impotenti davanti a un male così forte come può essere un tumore. Ci si sente male a essere impotenti nel vedere il proprio genitore consumarsi. Sono stati confronti non simpatici, però fanno parte della vita, ed evidentemente prima o poi ci dovevo arrivare.

Ormai hai tanti anni di carriera alle spalle. Adesso che hai una bambina piccola, ti pesa la ‘vita da tour’ che segue la pubblicazione di un disco (tour che presumibilmente inizierai tra poco)?
Per forza di cose i concerti saranno un punto importantissimo, il punto più importante insieme alle interviste. Girerò l’Europa, farò degli showcase anche, approfittando di questa formazione di quattro persone che si chiama ‘quartet experience’: riarrangiamo i miei pezzi più popolari in chiave basso-batteria-chitarra. La ‘vita da tour’ la vivo bene, perchè la mia vita: se mi blocchi mi ammazzi, non mi vuoi bene, se mi vuoi bene mi lasci andare. La mia famiglia sta crescendo e se io non sono con la mia famiglia è la mia famiglia che viene con me, che mi raggiunge.

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