Home Festival di Sanremo Francesco Renga a Sanremo 2021: “Con ‘Quando trovo te’ voglio dare un messaggio di speranza, un momento di felicità”

Francesco Renga a Sanremo 2021: “Con ‘Quando trovo te’ voglio dare un messaggio di speranza, un momento di felicità”

Intervista a Francesco Renga, in gara a Sanremo 2021 con il brano “Quando trovo te”: il ritorno all’Ariston, i ricordi e i prossimi progetti

5 Marzo 2021 16:17

Francesco Renga è in gara al Festival di Sanremo 2021 con il brano “Quando trovo te“.

Il brano, scritto da Francesco Renga insieme a Roberto Casalino e Dario Faini, esplora il concetto di “oblio salvifico”: dimenticare come forma di protezione e come riparo da una vita che spesso ci costringe alla fretta. La canzone racconta del momento in cui quel ricordo felice che ognuno di noi tiene nascosto in fondo al proprio cuore come un prezioso tesoro, al riparo dal casino della quotidianità, all’improvviso riaffiora potente nelle nostre esistenze, restituendo loro un senso più profondo e aprendoci gli occhi su una realtà che è migliore di quello che pensiamo.

Abbiamo intervistato Francesco Renga per parlare del suo ritorno sul palco del Teatro Ariston, sul significato e la nascita della canzone e sui prossimi progetti. Ecco cosa ci ha raccontato, con assoluta disponibilità,

Ti sei esibito nella serata di martedì, al Festival di Sanremo 2021 con “Quando trovo te” e hai fatto ufficialmente l’esordio in questa edizione particolare, non facile. Al netto di questo, però, bilancio positivo, no?

Sì, positivo, c’era tanta emozione perché è un Sanremo molto strano anche per me, nonostante sia la mia nona partecipazione. I giovani mi chiedevano “Com’é? Com’è qui?” ma non sapevo dire, perché anche per me è la prima volta, in questo modo. Però sono contento, volevo cantare quella canzone, per me è molto importante oltre al concetto, al racconto e all’urgenza artistica. E’ un punto d’arrivo importante, una sorta di summa di tutto quello che sono stato in tutti questi anni che probabilmente cercherò di migliorare anche in futuro. Ci sono echi dei Timoria nella scrittura, un canto in cima alla classicità delle prime fasi da solista. E c’è anche una scrittura più moderna, meglio radicata nel presente nella attuale scena musicale italiana. Era difficile far confluire tutti questi elementi. La canzone è molto impegnativa, difficile. La difficoltà è far sembrare che sia semplice. La bellezza è anche quella: è un brano che racconta una cosa importante, un messaggio più adulto. Si parla del ritrovare quei ricordi che teniamo sepolti, nascosti, protetti in fondo alla nostra anima che vengono fuori nei momenti più difficili che stiamo vivendo. In questo periodo così assurdo, questi ricordi riaffiorano dalla nostra anima e ci danno la forza di andare avanti. Sono i momenti felici, quelle piccolissime cose alle quali non diamo importanza ma che sono il significato profondo della nostra esperienza.

Il tema del ricordo è al centro della canzone che è nata in un periodo ben preciso, giusto?

Sì, ricordo esattamente quando c’è stata la genesi della canzone. Era iniziato il lockdown, il primo. Avevo appena traslocato e avevo scatoloni in casa. Ho iniziato a svuotarli, tiravo fuori quaderni, foto con i Timoria, con i miei figli piccoli, libri che avevo letto in gioventù, diari, poesie… Questo mi ha fatto nascere l’idea della canzone. Quei ricordi che credevo sepolti, dimenticati, sono esplosi e mi hanno dato una forza vitale incredibile. Sono quelle piccole cose, “l’odore del ragù di casa della domenica” per farti un esempio, che ti salvano la vita.

Restando sul tema dei ricordi…  questa è la tua nona volta all’Ariston, sicuramente diversa perché non c’è pubblico. Sul palco dell’Ariston sono affiorati ricordi delle tue vecchie partecipazioni?

Ogni volta. Tutte le volte che salgo su quel palcoscenico io rivivo ogni tappa di queste nove volte in cui ci sono stato, E’ stato sempre per un motivo preciso, uno step importante della mia vita. La prima volta con i Timoria, l’innocenza, la rabbia, la rivoluzione, l’incoscienza. Quando son tornato nel 2001 era un rimettersi in gioco da solo come solista. Ci sono stato con “Tracce”, mettendomi a nudo per la prima volta sulla quale ho dovuto lavorare moltissimo, la perdita di mia madre. Nel 2005 la vittoria di Angelo, la nascita di mia figlia. Ogni volta per me ha rappresentato un momento molto preciso della mia vita. Il momento di questo periodo che stiamo vivendo è proprio il senso di questa mia presenza, quest’anno: dare un messaggio di speranza, un momento di felicità. La musica alla fine fa questo.

Le tue partecipazioni a Sanremo non sono mai state per caso. Negli anni, molti sono andati per rilanciarsi, per un disco che stanno tenendo da parte e fare promozione. Tu, invece, hai dato sempre l’impressione di esserci “con un perché”.

Sì, per me la musica è condivisione. Per questo sto soffrendo per la mancanza dei concerti. Martedì ero al settimo cielo perché, anche se non c’era pubblico, io stavo cantando davanti a milioni di persone. Questa cosa per me è fondamentale per raccontarmi, per raccontare il tempo che vivo, che mi attraversa. E’ il significato più profondo dell’esistenza stessa.

C’è un disco in uscita o ci sono progetti imminenti?

L’idea che ho abbandonato, adesso, è quello dell’album perché ne ho fatti tanti e, ogni volta che ne finivo uno, poi puntualmente c’erano quelle due o tre cose che mi avrebbero meglio rappresentato e che non potevano entrare più nel disco. Voglio provare a lavorare al contrario. Farò uscire delle canzoni, ce ne sono già 3 o 4 sulle quali sto lavorando. Non so ancora quando avranno la voglia di farsi ascoltare ma procederò in questo modo. Poi, alla fine, quando riterrò che il percorso sarà concluso, uscirà una raccolta o un album, come preferiamo chiamarlo.

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