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Maneskin, Teatro d’Ira Vol. 1: conferenza stampa dell’album: “Un’ira catartica, non distruttiva”

Teatro d’Ira Vol. 1, il nuovo album de Maneskin: la band parla dei brani presenti nel disco e della loro partecipazione all’Eurovision 2021

17 Marzo 2021 13:17

A distanza di due anni dall’album di debutto, “Il ballo della vita”, doppio disco di platino, i Maneskin pubblicano “Teatro d’ira – Vol. I”, il primo volume di un nuovo progetto più ampio che si svilupperà nel corso dell’anno e che racconterà in tempo quasi reale gli sviluppi creativi della band insieme alle prossime importanti esperienze. Un percorso ambizioso e in continuo divenire, partito dai singoli “Vent’anni” (disco di platino) e dall’inedito “Zitti e buoni”, brano con cui hanno vinto il Festival di Sanremo 2021, che in pochi giorni ha raggiunto 18 milioni di streaming.

Il disco è stato scritto interamente dai Maneskin e registrato in presa diretta, rimandando alle atmosfere analogiche dei bootleg anni ’70, con l’idea e la voglia di ricreare la dimensione live vissuta dal gruppo nel loro primo lungo tour di 70 date fra Italia e Europa.

Come si intuisce dal titolo, il teatro è metafora in contrasto con l’ira del titolo: diventa lo scenario in cui questa prende forma.

Non si tratta di una collera contro un bersaglio, ma di un’energia creativa che si ribella contro opprimenti stereotipi. Una catarsi che genera, grazie all’arte, una rinascita e un cambiamento in senso positivo.

Scritto interamente dai Måneskin, il nuovo album è stato registrato tutto in presa diretta al Mulino Recording Studio di Acquapendente (VT) – luogo da cui hanno presentato l’album con un minilive – rimandando alle atmosfere analogiche dei bootleg anni ’70, con l’idea e la voglia di ricreare la dimensione live vissuta dal gruppo nel loro primo lungo tour di 70 date fra Italia e Europa.

Nella conferenza stampa di presentazione del disco, ecco le parole dei Maneskin:

Il titolo è stato scelto per creare un contrasto tra il teatro (la collocazione) e l’ira (il soggetto) per far capire come il nostro impeto sia da collocare in un contesto dove trasformarlo in qualcosa di positivo. Non un’ira distruttiva ma catartica, a cambiare le cose. Quando abbiamo scritto il primo album abbiamo sperimentato tantissimo, nel corso di questi anni, invece, con le esperienze live, abbiamo voluto portare questa crudezza e far sentire ogni singolo strumento. Nasciamo live, moriremo live (sorridono). Arriviamo dalla strada, da via del Corso, con il pubblico che dovevi conquistarlo, sempre e soltanto cercando di essere noi stessi. Un disco registrato in presa diretta. Nei brani non ci siamo imposti limitazioni nel linguaggio, in italiano e in inglese, siamo molto soddisfatti, con una varietà all’interno dell’album. Abbiamo pensato le tracce in ambiti live, con riff di basso, suono di chitarra e batteria, come “For your love“, il primo album scritto. “In nome del padre” è uno dei pezzi più strong e spinti del progetto. E’ stato l’ultimo pezzo che abbiamo scritto, un uptempo molto strong ed è uscita questa traccia, con sonorità più forti. Vorrei fare un chiarimento: “Noi facciamo musica con talmente tanta passione che per noi è sacrale, non stiamo autoproclamandoci musica religiosa o di un’altezza così aulica”. “Lividi sui gomiti” è sempre del filone rock hip-hop, un crossover che ci piace molto. Questo pezzo è un modo per portare alla luce tutto quello che c’è dietro il nostro lavoro. C’è una parte di sacrifici, studio, impegno e disciplina. “Coraline” necessita di una precisazione: non è la storia di un uomo cavaliere che salva la principessa in difficoltà. La favola finisce male, non c’è il lieto fine. E’ qualcosa di reale, è l’appassimento di questo fiore, di questa ragazza, e il cavaliere è inerme e impotente di fronte a quello che sta succedendo”. “La paura del buio“, invece, è stato scritto a Roma. Sperimentazione, gioco. “Il buio di cui parliamo, in questo pezzo in particolare, è che proverete a fermarci ma “siete voi che avete paura del progresso musicale”. Non abbiamo paura di quello che ci verrà detto all’esterno, del futuro, dell’ignoto. Siamo pronti a buttarci a capofitto. Siamo molto soddisfatti del risultato di questi brani. Siamo felici di tutte le date sold out e del resto del tour. E’ la dimensione più bella, con il confronto con il nostro pubblico.

Si è parlato anche della partecipazione dei Maneskin all’Eurovision Song Contest 2021 con “Zitti e buoni” in versione “censurata” con alcune “parolacce” del testo modificate. Ecco perché:

Non è una cosa che ha fatto piacere ma c’è un discorso di buon senso. Diciamo che non ci facciamo cambiare, che la nostra strada è quella. Rischiavamo di essere squalificati. Non abbiamo modificato il testo ma tolto una parolaccia. In questi casi entra in gioco il buon senso. Bisogna rendersi conto della realtà dei fatti. Siamo ribelli ma non scemi. E’ un modo per farci vedere da un pubblico europeo più ampio. Se avessimo potuto farla com’è, non l’avremmo cambiata. Abbiamo dovuto tagliare anche 10 secondi per la durata”

I Maneskin hanno parlato del sound rock che li contraddistingue…

“Siamo un gruppo di ragazzi che oggigiorno, in Italia, non ci sono molti gruppi che suonano gli strumenti analogici. Abbiamo le nostre influenze, i nostri gruppi. Non ci interessa se ci dicono che non siamo davvero rock. Se ha la mente aperta può godersela”

… e di come vedono i giovani d’oggi, i loro coetanei:

“Sempre più ragazzi della nostra età cominciano ad essere informati su quello che succede, sulle categorie nascoste sotto al tappeto: minoranze, troppo ingombranti… La nostra generazione si sta tanto interessando a questa cosa. Si stanno aprendo a livello comunicativo e pratico, tanta gente si sta liberando di tante preconcetti. Più gente si informa e se ne accorge, più se ne parla. E speriamo che diventi la nostra normalità”.

L’ira catartica di cui hanno parlato i Maneskin, è quella che tutti proviamo nella vita:

“Nei nostri brani abbiamo questa maniera di esprimerci, in maniera concettuale. Ognuno si immedesima in maniera diversa, mettiamo nei testi e nella musica quella che ci succede. Rabbia per il percorso, per gente che non ci credeva, per pregiudizi. Credo sia un sentimento umano che tutti provano: incanalarlo nella musica invece di reprimerlo. “In nome del padre è per tutti quelli che ci dicevano “Dove andate, che fate, ma che cos’è, dovete studiare…”.  E’ per tutte queste situazioni, i limiti che hanno cercato di imporci o le barriere. Per quanto riguarda Coraline, non è riferito al cartone, al film. La scelta del nome è puramente musicale, fonetica. La storia è reale, della quale non parlerò, riportata in favola e ognuno può interpretarla come preferisce”.

 

 

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