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Lacuna Coil a Blogo: “Siamo partiti dall’estero e ora stiamo tornando a casa”

Cristina e Andrea presentano Delirium in una lunga intervista, toccando temi come l’italianità, il successo estero ed i traumi personali…

pubblicato 27 Maggio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 17:00

In occasione dell’uscita di Delirium, il nuovo disco dei Lacuna Coil, ho deciso di non inserirmi nel lungo tour di presentazione alla stampa, con l’inevitabile discesa delle domande nel super-tecnicismo (anche se sì, avrei dovuto chiedere quanto il primo singolo, House Of Shame, sia influenzato dai Sepultura di Roots, con il suo groove ed il growl in primo piano) e nelle banalità. Dopo una decina di interviste con la band negli anni passati, ho deciso di provare una cosa nuova: partecipare ad una presentazione per la “stampa generalista”, quella che viene chiamata round table e consiste in una serie di giornalisti non esattamente specializzati nel genere (o perlomeno nella band), che fanno domande basandosi principalmente sulla cartella stampa ricevuta.
Il risultato è stato più interessante del previsto: anzichè focalizzarsi, appunto, su come esattamente i chitarristi ospiti abbiano registrato le loro parti, o richiedere una track-by-track, il discorso si è presto spostato da Delirium (per inciso, un ottimo album, molto pesante e sorprendente) per abbracciare temi più ampi e forse meno toccati nelle interviste della stampa specializzata nel metal. Ecco il resoconto di quel che è stato detto da Cristina Scabbia e Andrea Ferro – alcuni tratti forse li avrete letti su alcuni quotidiani, citazioni brevi del loro pensiero… qui di seguito c’è la trascrizione dei ragionamenti completi!

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Leggendo i testi, sembra che Delirium sia un vero e proprio percorso all’interno della psiche umana – la psiche disturbata, a cui la musica metal fa da naturale accompagnamento…

Andrea: “Per prepararci mentalmente, abbiamo visitato alcuni manicomi abbandonati – uno vicino a Milano, uno vicino a Brescia – per cercare di capire cosa si poteva provare in luoghi del genere. Quando abbiamo creato il disco, mentalmente ci siamo immaginati di camminare in quei lunghi corridoi, e di guardare nelle stanze: alcune contenevano pazienti curabili, altri no. Ogni canzone parla di un “paziente” diverso, di un problema mentale differente rapportandolo alla nostra vita quotidiana. Ad esempio “You Love Me Cause I Hate You” è ispirata da quella che viene chiamata Sindrome di Stoccolma, ovvero quella patologia che scatta in una persona che viene rapita che finisce con l’innamorarsi del rapitore. Ovviamente noi non siamo mai stati rapiti, ma abbiamo preso questo concetto medico per descrivere una relazione sentimentale che sappiamo non ci fa bene, eppure non riusciamo ad interrompere.”
Cristina: “Per noi è stato molto importante trattare tutti questi temi con il maggior rispetto possibile. Non volevamo scrivere “storie di pazzi”, ma descrivere delle patologie legandole anche a vizi quotidiani. Ad esempio, fare l’amore e poi trovarsi nel letto ognuno con il suo smartphone, è decisamente una deviazione mentale della nostra epoca. Volevamo che tutto fosse molto reale, per non scadere nella tamarrata del “parliamo dei manicomi perchè fa figo”.”
Andrea: “Io stesso ho sperimentato degli attacchi di panico, per un periodo mi prendevano mentre guidavo e dovevo fermarmi subito, temevo di non poter andare avanti… e scrivendo il disco ho attinto alle energie e ai pensieri di quei momenti, in cui cercavo la forza per tornare a guidare, a riprendere il controllo della mia vita.”

Il disco si sposta verso lidi molto heavy – è stata una vostra esigenza?

Cristina: “Già in passato non abbiamo mai avuto problemi nel portare la nostra musica dove volevamo, nessuno ci ha mai detto di suonare in un modo o in un altro. Questa volta, in maniera del tutto naturale, ci siamo trovati a suonare in maniera più pesante. Volevamo stupire chi si aspettava “il classico disco alla Lacuna Coil”, e andando anche contro il trend moderno di produzioni pulite, abbiamo inciso la cosa più onesta.”

Com’è stato lavorare con il vostro bassista Marco Coti Zelati in qualità di produttore?

Andrea: “E’ stato molto molto stressante per lui – aveva già prodotto gruppi locali, ma niente al livello dei Lacuna Coil, e soprattutto non era mai stato nella doppia vesta di musicista e produttore. E’ stato molto umile, non ha avuto problemi a buttare via interi pezzi che aveva scritto da solo, se capiva che non si sarebbero incastrati con il resto del disco – di solito quando scrivi qualcosa che ti piace, poi cerchi di difenderlo a tutti i costi e introdurlo nel disco, ma lui ha veramente seguito l’anima del disco, più che le sue preferenze personali.


Marco Biazzi, il vostro chitarrista storico, ha lasciato la band prima di incidere il disco. E’ stato uno shock?

Cristina: “Ci siamo trovati ad affrontare lo shock emotivo della separazione di Maus, nostro chitarrista per sedici anni – è stata una separazione consensuale, ma i primi giorni siamo rimasti un po’ fermi. Poi abbiamo capito che avremmo avuto così l’occasione di fare qualcosa che non avevamo mai fatto prima: chiamare qualche ospite alla chitarra, offrirci qualche riff diverso da quello che ci si poteva immaginare. Abbiamo così ricevuto un contributo da Myles Kennedy, un nostro amico di vecchia data, poi c’è Mark Vollelunga dei Nothing More, e poi Marco Barusso, il nostro fonico ma anche un ottimo chitarrista, e Diego Cavallotti e Alessandro LaPorta, due amici. Ognuno di loro ha uno stile ben definito, e quindi ha aggiunto una diversità al disco che non avremmo potuto trovare se avessimo mantenuto un singolo chitarrista.”
Andrea: “Hanno contribuito a rendere l’idea di “viaggio” nel manicomio, in cui ogni brano rappresenta una sfaccettatura diversa. Va comunque detto che Maus è andato via pochi giorni prima di entrare in studio, quando i pezzi erano sostanzialmente scritti, quindi la base musicale è la sua. La sua tecnica è molto interessante: quando è alla ricerca di idee si mette a jammare davanti alla tv, ai canali di notizie, e suona come reazione alle immagini che vede. Quindi la sua musica è molto fluida, e ci ha dato molte idee per rendere i brani diversi gli uni dagli altri.”

Quanto vale per voi il mercato italiano, fra concerti e dischi?

Andrea: “Sull’attività live rappresenta circa il 20% dei nostri concerti annuali, che tenendo conto delle dimensioni dell’Italia rispetto al resto del mondo non è poco. I nostri mercati storici sono l’America e l’Inghilterra, dove ci hanno accolto quasi da subito, e poi siamo riusciti ad arrivare anche in mercati come Germania o Finlandia, in cui i gruppi metal più seguiti sono quelli autoctoni. A furia di suonare in Scandinavia, alla fine abbiamo fatto breccia!”
Cristina: “E’ strano a dirsi, ma abbiamo raggiunto prima il successo lontano dall’Italia, e aver ottenuto poi attenzioni in Italia perchè avevamo raggiunto risultati all’estero. Abbiamo proprio visto un’inversione di marcia, negli ultimi anni siamo stati invitati a molti eventi ai quali non avremmo mai pensato di andare, come il concerto del Primo Maggio a Roma. Come dicevo, è una cosa strana, ma al contempo probabilmente la dice molto sulla mancanza di cultura metal nel nostro Paese, e sulla esterofilia di molti. E’ curioso anche come adesso molti artisti affermati in Italia cerchino di andare all’estero, scrivendo canzoni in inglese e adottando sonorità più “internazionali”, mentre noi siamo andati al contrario: siamo partiti dall’estero e ora stiamo tornando a casa.”

Vedendo queste aperture nel mercato italiano, consigliereste a chi suona metal di cercare di sfondare nel mercato locale, prima di puntare all’estero?

Andrea: “E’ brutto dirlo ma no, al momento non lo consiglierei. Piccole porte si sono aperte per gruppi underground che ora suonano in America o in Russia, ma in Italia non sono conosciuti come i Lacuna Coil, anche se meriterebbero. Noi siamo qui oggi davanti a così tanti rappresentanti della stampa, perchè abbiamo raggiunto le alte vette della classifica Billboard americana, mentre quando suonavamo in Italia ci seguiva solo la stampa specializzata.”
Cristina: “E’ anche un momento difficile per i musicisti in generale, è più difficile costruirsi una carriera come band o come artista, perchè tutto viaggia più velocemente, non hai tempo per gettare delle basi su cui costruire un futuro solido. Un gruppo che ha successo adesso, fra qualche tempo potrebbe non esserci più, perchè l’attenzione del pubblico si sposta molto. Quando abbiamo iniziato noi si vendevano molti dischi, i fan ti seguivano ai concerti… ora i dischi sono in forte calo e anche chi è appassionato di certa musica a volte anzichè andare ai concerti se li guarda su YouTube.”

All’estero viene riconosciuta una “italianità” specifica dei Lacuna Coil?

Cristina: “Indubbiamente l’italianità c’è – fin dal primo tour ad esempio ci siamo portati dietro la nostra caffettiera e pacchi di caffè, e chi lo provava continuava a tornare a chiederne, riconoscendo la superiorità italiana!”
Andrea: “Per le prime registrazioni dei dischi in Germania, partivamo con il pulmino carico di pacchi alimentari come gli emigranti: vino, olio, passata di pomodoro occupavano più spazio dei nostri strumenti!”
Cristina: “In America c’è una concezione tutta particolare dell’Italia, ovvero solo come fonte di migrazione. Quando dicevamo di essere italiani, loro ci chiedevano se arrivavamo dal New Jersey, oppure una volta in un ristorante quando hanno scoperto che eravamo italiani, ci han chiesto se eravamo andati lì con il tourbus e quanto ci avevamo impiegato. Da quelle parti sembra strano che arrivi qualcuno dall’estero per suonare.
A parte queste note di colore, non siamo mai stati considerati una “band italiana che suona all’estero”, principalmente perchè ai nostri concerti non ci sono italiani. Moltissimi altri artisti italiani, se suonano a Los Angeles o New York si trovano davanti ad un pubblico di emigrati nostalgici, noi invece troviamo i locali, gente interessata alla musica e non alla nostalgia dell’Italia, ed è una cosa piuttosto unica.”
Andrea: “Portiamo anche un innato concetto di “famiglia”, andiamo d’accordo con tutti e ad esempio in tour grossi come l’Ozzfest i Black Sabbath, i System Of A Down, ma anche Dave Mustaine che notoriamente è scontroso, venivano sul nostro tourbus a chiedere il caffè, o in occasione dei mondiali di calcio venivano da noi a guardare le partite, godendo del nostro calore.”

Come siete riusciti a “vendere” la vostra musica agli Americani, imporvi in un mercato già pieno di band metal? E’ un po’ come riuscire a vendere la pizza agli Italiani!

Andrea: “Non c’è una formula magica ma una serie di motivi che si sono incastrati al tempo e al momento giusti: l’immagine giusta, la sonorità giusta, l’essere “esotici” arrivando da una nazione lontana, la casa discografica che ha colto il modo giusto di proporci… e anche la fortuna. Ci sono stati altri gruppi italiani che hanno firmato per la Century media, ma non hanno avuto lo stesso successo.”
Cristina: “Anche all’interno della nostra discografia, ci sono stati dischi con più o meno successo, non vendiamo sempre lo stesso numero di copie e non abbiamo sempre la stessa esposizione mediatica. Oggi magari sono più famosi gli YouTuber rispetto ai musicisti, ma noi continuiamo ad andare avanti, è naturale.”
Andrea: “Parlando di YouTuber, diciamo che l’unico problema che abbiamo nei confronti delle nuove tecnologie è che hanno portato via enormi fette di budget. Non è una questione di download illegale: ormai tantissimi giovani ascoltano musica legalmente su Spotify, e da Spotify non ricevi che una frazione dei soldi che vedevi quando si vendevano i dischi fisici. Lamentarsi è inutile, bisogna cercare altri modi per tirare avanti, cercare sponsorizzazioni o suonare più dal vivo.”

L’elemento femminile nella band è una cosa che sta prendendo piede, nel mondo del metal?

Cristina: “Siamo un po’ una mosca bianca a riguardo: quando abbiamo cominciato sicuramente era una cosa inusuale avere una voce femminile dentro ad una band metal, e sicuramente una grande fetta dell’attenzione la attiravamo per questo. In America poi questa cosa è arrivata ancora dopo, quindi noi avevamo già radici prima che uscissero, che so, gli Evanescence. Ora che invece ci sono sempre più gruppi con una donna all’interno, per noi sarebbe stato facile puntare tutta l’attenzione su di me, e invece abbiamo scelto di presentarci come gruppo: foto di copertina e promozionali in cui compariamo tutti e non solo io, senza bisogno di usarmi come “esca” per attirare l’attenzione. Non siamo “Cristina Scabbia e i suoi ragazzi”, ma siamo un gruppo di musicisti, con due cantanti che interagiscono e strumentisti con le palle.”

La foto ufficiale dei Lacuna Coil per Delirium è di Alessandro Olgiati, la foto di Andrea e Cristina alla conferenza stampa arriva dal mio profilo instagram, nel caso vogliate farci un salto!

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