Home Recensioni musicali Uscite discografiche Febbraio 2012 (1° parte): recensioni

Uscite discografiche Febbraio 2012 (1° parte): recensioni

Recensioni nuovi album di Mark Lanegan, Leonard Cohen, Air, Perfume Genius, Ghost, Emis Killa e tanti altri…

pubblicato 10 Febbraio 2012 aggiornato 30 Agosto 2020 17:10


Mark Lanegan – Blues Funeral : che grande Mark Lanegan, non ho mai avuto dubbi su chi buttare dalla torre tra lui e Cornell, tra i superstiti del grunge. Una carriera gloriosa tra Screaming Trees, collaborazioni con QOTSA, Soulsavers, Isobel Campbell e Greg Dulli e un prestigioso percorso solista che prima di “Blues Funeral” si era preso una pausa di otto anni (sì, proprio come Leonard Cohen, vedi sotto). “Blues Funeral” è un disco coraggioso, perchè rischia trovare terreno poco fertile tra i rocker duri e puri per colpa di un importante utilizzo di synth e drum machines (un po’ alla Frusciante solista inizio anni zero). Finirebbe tutto in un semplice esercizio di stile se mancassero le canzoni… e per fortuna le canzoni (spesso crepuscolari) ci sono eccome: il singolo “The Gravedigger’s Song” funziona bene, “Harborview Hspital” è un gioiellino, “Leviathan” è un lento masticare blues, “St. Louis Elegy” tocca stati d’animo interiori con pura maestria. Tutto questo senza tirare in ballo la solita incredibile voce… (z.) Voto: 7

Leonard Cohen – Old Ideas : Leonard Cohen non ha di certo bisogno di presentazioni, dalla triade fondamentale “Songs…” 1967-71 ad oggi difficilmente ha sbagliato qualcosa. Lo fece probabilente nel 2004 con il modesto “Dear Heather” che fino ad oggi era l’ultimo album della sua carriera. Oggi, otto anni dopo si riscatta come solo i grandi riescono a fare con “Old Ideas”, lavoro di pregievole fattura. La sua profonda e caratteristica voce scandisce melodie soffuse, sorretta da coriste gospel e strumentazioni contemporaneamente folk (“Crazy To Love You”), americana e jazzy. Sicuramente di minore impatto rispetto all’ultimo grande album di Tom Waits, ma signori… 77 anni… (z.) Voto: 7

Air – Le Voyage Dans la Lune : Il più grosso errore degli Air è stato quello di realizzare un capolavoro come “Moon Safari”. Da allora, ogni volta che esce un loro disco c’è la speranza che il miracolo si ripeta. Ci erano andati abbastanza vicini con “Talkie Walkie”, ma poi sono arrivati “Pocket Symphony” e soprattutto “Love 2” a scoraggiare anche i più ottimisti. Dopo “Love 2” avevano due strade: continuare a fare gli Air o osare un minimo di più. Pur senza abbandonare la loro amata luna (dopotutto… “Moon Fever”), gli Air hanno scelto la seconda strada con un disco, “Le voyage dans la Lune”, che nasce come post-colonna sonora dell’omonimo film del 1902. Un progetto di per sè ambizioso e a tratti realmente inedito (proggerie in “Cosmic Trip”, “Parafe” e “Sonic Armada”) ma che poi finisce per risultare solamente una piccola variante (la pur bella “Seven Stars” è 100% loro) di quanto già proposto. Quando l’idea supera il contenuto… ma siccome gli Air sono pur sempre gli Air, dopo quello degli Alcest, questo è un altro voyage da fare… anche solo una volta. (z.) Voto: 6+

Perfume Genius – Put Your Back N 2 It : dopo aver convinto i più con il debutto di due anni fa “Learning”, torna Mike Hadreas con il suo progetto Perfume Genius. Dobbiamo anche a lui la successiva proliferazione degli ottimi Youth Lagoon e Gem Club, figli di quel minimalista pop fatto in camera che propone Mike. Rimane quel misto di dolcezza e commovente malinconia adattissimo sia per addormentarsi sia per risvegliarsi scacciando tutte le tensioni mattutine. Visto lo scorso anno al Primavera Sound con un set veramente atmosferico, Mike in “Put Your Back N 2 It” disegna melodie sul suo pianoforte e le enfatizza con un tono contemporaneamente fragile e ricco di sentimento. Poi ci sono le canzoni, semplici e semplicemente belle tanto che a volte ti chiedi se sia tutta farina del suo sacco (“Floating Spit” è un po’ una “Fix You” versione lo-fi, l’ottima “Dark Parts” è basata su un giro di piano simil “Someone Like You” giusto per citare classiconi). Si potrebbero fare confonti con il predecessore o altri discorsi che in questo caso sarebbero superflui, qui bisogna solo chiudeere gli occhi e ascoltare… questo è uno di quei piccoli gioielli (appena 30 minuti) che non cambieranno la storia della musica ma che non possono non essere ascoltati almeno una volta nella vita. (z.) Voto: 7+

Van Halen – A Different Kind of Truth : rockettari e soprattutto ex-rockettari di tutto il mondo unitevi, i Van Halen sono tornati e lo hanno fatto con il grande comeback dell’imbolsito David Lee Roth, reo di aver abbandonato la band di Eddie Van Halen all’apice del successo. Dopo una serie di dimenticabili dischi con Sammy Hagar e quel grandissimo errore discografico che fu Van Halen III con Gary Cherone alla voce, la storica coppia torna (c’è anche il figlio ventenne di Eddie, Wolfgang, al basso) con un lavoro di puro mestiere. Sia nei passaggi più squallidi (il singolo “Tattoo”), sia nei frangenti più convincenti (riff ancora potenti e energia strumentale invidiabile) viene fuori in maniera veramente evidente la natura del disco… e i lavori con più mestiere che idee, non meritano più della sufficienza. (z.) Voto: 6

Xiu Xiu – Always: devo dire la verità: ho sempre fatto un po’ fatica a capire dove si nascondesse la genialità di Jamie Stewart e soci, figuriamoci poi in album poco a fuoco come gli ultimi “Women as Lovers” e “Dear God, I Hate Myself”. Lo dico subito, “Always” mi ha convinto di più fin dal primo ascolto (e con loro ce ne vogliono almeno 10 per capirci qualcosa) e lo ha fatto sia con i pezzi più immediati (la wave a due voci di “Honey Suckle”, aperture alla Patrick Wolf “Beauty Town”) sia con i passaggi più sperimentali (la teatralità estremizzata di “Black Drum Machine” e “Factory Girl”, l’industrial old style di “I Luv Abortion” e il piano-art pieno di pathos di “The Oldness”). (z.) Voto: 7-

Errors – Have some Faith in Magic : cambiati parecchio questi ragazzi di Glasgow, me li ricordo ancora agli esordi quando proponevano un misto strano di eletronica e post-rock di derivazione math post-Battles. Dopotutto, dopo i risultati poco convincenti del secondo “Come Down With Me” qualcosa dovevano tirare fuori qualcosa dal cilindro e…. magia… eccolo quì. “Have some Faith in Magic” si apre subito con “Tusk” e il suo giro di synth-chitarra ben riuscito, per poi rallentare i ritmi con la dreamy di “Blank Media” e la pura chillwave di “Pleasure Palaces” andando così a caratterizzare il leitmotiv di un disco in cui trovano spazio anche suggestioni wave ’80 (“Cloud Chamber”). Difficile capire se la nuova direzione sia stata presa in modo artificiale o in modo spontaneo ma a conti fatti la magia funziona… non sempre, ma funziona. (z.) Voto: 7-

The Twilight Sad – No One Can Ever Know : ok, niente riferimenti alla pRRRRonuncia e all’accento scozzese, promesso. Terza prova per James Graham e compagni e il loro carrozzone che macina indie rock e post-punk revival in egual misura. L’hype dei primi tempi sembra un po’ svanito, ma loro non si sono scoraggiati tirando fuori un lavoro piuttosto interessante… non tanto per i brani in odore Editors (“Don’t Move”, “Don’t Look At Me”) quanto per i riusciti tentativi di muoversi altrove, in zona Radiohead nell’evocativa “Sick”, o pestando simil industrial muzik in “Kill It In The Morning”. (z.) Voto: 6/7

Band Of Skulls – Sweet Sour : è bello potersi ricredere. Se il debutto di tre anni fa mi aveva lasciato completamente indifferente, figuriamoci il livello delle aspettative dopo la loro partecipazione alla colonna sonora di uno (non chiedetemi quale, non voglio neanche saperlo…) dei Twilight e i ripetuti passaggi su Virgin Radio. Invece bisogna ricredersi… il tamarrock è ben mascherato da una maturità piuttosto sorprendente per una band come la loro (“Lay My Head Down” è l’apice, ma anche le atmosfere folk di “Navigate” e la delicata “Close to Nowhere” non sono da meno) che ha saputo trovare il giusto compromesso tra le due voci (Russell e Emma) così come tra energia e melodia. Meno convincenti quando decidono di tirare le corde garage-rock revival (zona Jack White/Dead Weather) o seguire la scia blues-rock dei sempre più fortunati Black Keys, ma nel complesso bel disco. (z.) Voto: 6/7

Islet – Illuminated People : se nel 2011 hanno suonato su palchi importanti (Primavera Sound ad esempio), nel 2012 erano attesi al varco con album d’esordio. Si chiama “Illuminated People” e si va ad aggiungere a Diagrams e Django Django alla lista di recenti album decisamente inclassificabili. Cosa fanno gli Islet? Difficile dirlo, l’album si apre con i 9 minuti variegati dai solchi psichedelici di “Libra Man”, per poi seguire strade diverse, dal psych-prog di “This Fortune”, ai cambi di ritmo di “Entwined Pines” (vagamente Flaming Lips), passando da freddi paesaggi rarefatti (“A Warrior Who Longs to Grow Herbs”) ai caldi tropicalizzi di “Funicular”. Apice del disco l’ottimo mountaintop di “We Bow”, un vero e proprio anthem lo-fi. (z.) Voto: 7

Trust – TRST : i Trust sono Maya Postepski e Robert Alfons. Lei è parte integrante degli Austra di Katie Stelmanis e proprio dagli Austra (soprattutto da pezzi come “Beat And a Pulse”) bisogna partire per parlare dei Trust. Anche qui abbiamo a che fare con gli anni ’80 e in particolare con quel variegato mondo dell’electro/synth-pop.
Mentre il progetto Austra unisce suoni e melodie pop in dosi uguali, il progetto Trust, pur risultanto bello piacevole e per nulla difficile, si concentra maggiormente sui ritmi (trascinanti e in pura wave: “Dressed For Space” e “Bulbform” o talvolta da club goth) avvicinandoli a Crystal Castles o alle suggestioni dei Cold Cave. Quadrato, robotico e ipnotico. (z.) Voto: 7-

Die Antwoord – Ten : ad Ottobre 2010 vi avevo parlato di “$”, il debutto di questo strano combo sudafricano. Chiariamo subito, è impossibile prendere sul serio i Die Antwoord… troppo caricature e improbabili personaggi (Yo-Landi Vi31412er è veramente una macchietta e Ninja non è da meno) per fare paura ai pesi massimi del rap, ma in Ten lasciano qualche speranza in più: meno potenziali viral-songs rispetto a “$” e una proposta più varia: si va dal rapfakestep di “Never Le Nkmise 1”, alla cassa spinge come spinge tuo marito “I Fink U Freeky”, passando per il world-hop alla M.I.A. (“Fatty Boom Boom”), l’old-school di “So What?”, ai richiami alla loro amata rave (“Baby’s On Fire”) e ’90s clubs misto dubstep (“Never Le Nkmise 1”)… insomma un disco stupido ma che a conti fatti risulta essere una godibile panoramica del mondo Die Antwoord. (z.) Voto: 6-

The Asteroids Galxay Tour – Out of Frequency : “The Golden Age”, contenuta nell’album precedente la conoscete sicuramente per via di uno spot televisivo. Dalla Danimarca arriva il pop soul sbarazzino, dall’immaginario chiaramente retrò, guidato dalla bionda e stridula Mette Lindberg, dei The Asteroids Galaxy Tour . Siamo in zona Austin Powers nelle “Gold Rush” e in generale “Out of Frequency” si fa apprezzare per la capacità di riproporre certe sonorità ’70 con sezioni a fiati sugli scudi, attraverso opportuni ammodernamenti, tra disco-groove (ricordate i Deee Lite?), immaginario space age pop/bachelor pad music e tentazioni pop post-Duffy. Il risultato è anche gradevole, peccato per alcuni passi falsi, compresa la porcata adolescenziale alla peggio-Avril Lavigne “Heart Attack”. (z.) Voto: 6

Django Django – Django Django : ecco una delle prime sorprese dell’anno: i Django Django. Dopo un paio di singoli ben accolti (“Waveform” e “Default”), il gruppo di Edinburgh debutta con l’omonimo album nel quale scorrono fiumi di psichedelia ragionata e raffinata (art?), andando così a creare atmosfere non di immediata comprensione. Si sente, a volte in modo pesante, l’eco dei The Beta Band (c’è pure un legame di parentela), ma anche suggestioni tribal-country da deserto western ben rappresentate in copertina (“Firewater”, “Wor” e “Skies over Cairo”). Bel dischetto di indie free-form che con un paio di canzoni memorabili in più avrebbe potuto fare il botto. (z.) Voto: 7-

Schoolboy Q – Habits & Contradictions : il primo importante album hip hop del 2012 è questo “Habits & Contradictions” di Schoolboy Q. Dopo aver collaborato con Kendrick Lamar e ASAP Rocky, è finalmente arrivato il suo momento: “Habits & Contradictions” va ad aggiungersi ad una serie di uscite che stanno ridando linfa alla musica rap americana, puntando maggiormente su i contenuti rispetto alla spettacolarizzazione dei soliti clichè dell’universo hip hop. Le radici affondano all’interno della gangsta-west anni ’90, ma vengono ben contaminate dalle sonorità “cloud rap” degli ultimi tempi. Kendrick Lamar e ASAP Rocky ricambiano il favore nelle ottime “Blessed” e “Hands On The Wheel”, ma convincono anche “There He Go” e soprattutto la battuta lenta di “Grooveline pt.1”. Buon disco eh, ma non mi sembra che bisogna star qui a strapparci i capelli o gridare al miracolo. (z.) Voto: 7-

Beth Jeans Houghton – Yours Truly, Cellophane Nose : dopo un Ep all’insegna di sonorità folk-pop vicine a Laura Marling, la giovanissima Beth Jeans Houghton è pronta per fare il grande salto. Certo, l’attuale “amicizia” con Anthony Kiedis (RHCP) e l’aspetto che non passa inosservato, aiuteranno l’ascesa, ma lei ci mette del suo proponendo un art-pop per nulla scontato. Rimangono le radici folk, ma tutto viene portato ad un livello superiore andando a lambire i territori di Florence Welch o St.Vincent. Bell’esordio, ancora da affinare il comparto melodico. (z.) Voto: 7-

Ronin – Fenice : l’ultimo tassello del progetto Ronin: colonne sonore post tra tex-mex, badalame/ntino e climax cinematici (z.) Voto: 7
John Talabot – ƒin: dalla Spagna arriva il debutto di John Talabot che richiama il vicino balearic sound con contaminazioni chill-house (z.) Voto: 7
Imperial Teen – Feel The Sound : l’indie power pop dell’ex Faith No More Roddy Bottum, senza infamia e soprattutto senza lode (z.) Voto: 6
John K. Samson – Provincial : debutto solista di cantautorato folk per il bassista dell’importante formazione skacore Propagandhi. Non dice molto… (z.) Voto: 6+
Tennis – Cape Dory : un passo di fianco rispetto al debutto dello scorso anno, la coppietta retro-twee pop non convince ancora (z.) Voto: 6+
Ghost – La Vita è Uno Specchio : danni post-Modà tra nauseante italianità pop-rock e sentimento. Meglio ascoltare altri Ghost, quelli giapponesi o i doomers svedesi. (z.) Voto: 4,5
Lambchop – Mr. M : sempre eleganti, ma questo Mr.M aggiunge ben poco a quanto già musicato da Kurt Wagner & co. (z.) Voto: 6,5
Prinzhorn Dance School – Clay Class : se i Gang Of Four avessero avuto anche una cantante donna… 30 anni dopo. (z.) Voto: 6
Ringo Starr – Ringo 2012 : grazie Ringo, sentivamo davvero la mancanza di un disco del genere (z.) Voto: 4+
Hospitality – Hospitality : debutto di buon indie pop. (z.) Voto: 6/7
The Fray – Scars and Stories : terza, ancora una volta trascurabile, prova per l’easy pop-rock dei The Fray, qui più wannabe-Coldplay che in passato. (z.) Voto: 5+
Emis Killa – L’Erba Cattiva: l’album della definitiva consacrazione per il “zarro-rap” che, immagine a parte, non è poi “peggiore” di altri suoi colleghi. (z.) Voto: 5+

——————————

LEGENDA 2012
10: la perfezione… non esiste
9: capolavoro, fra i migliori di sempre
8: grandissimo disco, probabilmente destinato a rimanere nella storia 5 stars1
7: album di buon livello, manca solo quel qualcosa che lo renda veramente memorabile 4 stars
6: discreto, passa abbastanza inosservato… innocuo 3 stelle
5: disco trascurabile, banale e poco degno di nota 2 stelle
4: album completamente inutile 1 stella
3: disco dannoso, difficile trovare di peggio.
2: neanche Justin Bieber
1: …

———–
Gennaio 2012 – 2° Parte
Gennaio 2012 – 1° Parte
Migliori Album Internazionali 2011
Migliori Album Italiani 2011
Migliori Album Internazionali 2010
Migliori Album Italiani 2010
Migliori Album Internazionali 2009
Migliori Album Italiani 2009

Recensioni musicali