Home Guè Pequeno Marracash e Guè Pequeno contro i ‘nuovi rapper’: “Pensano solo a far soldi. Il rap è una cosa seria”

Marracash e Guè Pequeno contro i ‘nuovi rapper’: “Pensano solo a far soldi. Il rap è una cosa seria”

“Il giornalista italiano medio coglie le differenze tra Manuel Agnelli e i Finley, ma non è altrettanto attento con l’hip hop”. Parola di Marracash.

pubblicato 18 Luglio 2016 aggiornato 16 Ottobre 2020 16:53

Marracash e Gué Pequeno, reduci dal successo di Santeria (si è imposto al primo posto della classifica italiana dei dischi più venduti), saranno i protagonisti della cover story del nuovo numero di Rolling Stone in edicola dal 20 luglio. Dalle pagine del mensile, i due rapper se la prendono con un certo modo di fare rap.

“Noi abbiamo iniziato a suonare in un’epoca in cui non c’era neppure il sogno di farci i soldi con il rap – debutta Marra – e il rap dovevi amarlo fino al midollo, con tutto te stesso. Gente come Fabri Fibra, gli ex Co’Sang, si vivono la musica con una visceralità, con una sofferenza che i ragazzi di oggi non hanno. La maggior parte di loro pensa solo ai soldi. Io, quando facevo musica, volevo essere libero. Alla musica chiedevo di liberarmi dal lavoro. Avevo anche la smania di far soldi, chiaro, di prendermi una rivincita sulla scuola, sul quartiere, sui miei. Ma non volevo essere Laura Pausini. Invece questi sono disposti ad assoggettarsi pur di essere famosi. Sono passati per le nostre etichette indipendenti, per i nostri featuring. Li abbiamo cresciuti noi”.

“Io sono uno che ha sempre detto di voler fare soldi – sembra rispondergli il suo socio, Guè -. La mia carriera è piena di errori, di aspetti controversi. Non voglio neppure fare troppo la morale, ma è giusto mettere qualche puntino sulle i. Non lo dico da rosicone. Il nostro è un disco orgoglioso. Siamo comunque due che vendono, due vincenti […] Perché il calciatore può andare in Lamborghini e il rapper no? Io lavoro, mica vado a rubare. Tantomeno posso far ridere la gente per farmi considerare. Perché dovrei far ridere? Cazzo ridi? Il rap è una cosa seria, un patrimonio culturale, ha una storia, come il rock, ci fanno i film, ci sono i libri di Jay-Z, Jay-Z che va al Moma”.

“I giornalisti non capiscono gli stilemi del rap – prosegue il ‘King del Rap’ -. Capiscono i capelli lunghi e la croce rovesciata di Ozzy Osbourne, ma non le collane nel rap. Per noi, qualche anno fa, c’è stata l’esigenza di mettere un piede dentro ’sta merda di musica italiana, da cui eravamo banditi. Così, siamo stati anche i primi a dover fare dei pezzi ‘passabili’. Io sono stato uno dei primi a collaborare con una uscita dai talent, Giusy Ferreri. I Club Dogo avevano fatto Pes e Fibra Tranne te. Insomma, c’era stato un tentativo di legittimare questa musica, e di portare la musica italiana nell’hip hop. Questi nuovi ragazzini, invece, fanno solo dei pezzi pop con un paio di rime sopra. Di hip hop non c’è niente. Il giornalista italiano medio coglie le differenze tra Manuel Agnelli e i Finley, ma non è altrettanto attento con l’hip hop”.

La toccano piano.

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