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Katy Perry, Prism: recensione

Anticipato come una sorta di nuova era con un funerale, una parrucca bruciata e un progetto più “dark” rispetto al precedente Teenage Dream, Prism conquista?

pubblicato 22 Ottobre 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 03:00

Mettiamola così. All’annuncio di un album diverso dal pop leggero e colorato di Teenage Dream, in molti si sono preoccupati. I Katycats hanno atteso con fiducia ma diversi lettori hanno guardato questa dichiarazione con una sorta di preoccupazione velata. Perché la forza di Katy Perry è stata proprio nel presentarsi con un disco da consumare e da ascoltare in loop continuo. Per gli amanti del pop, Teenage Dream è stata una macchina sforna singoli: ogni brano era potenzialmente un successo da classifica. Ne sono usciti sei di pezzi ma sarebbero potuti essere anche di più.

Prism è un lavoro, invece, in piccola parte differente. C’è crescita? C’è maturità? Forse, ma un percorso leggermente diverso è stato preso. Qui si spazia da pezzi tormentone e perfettamente studiati a tavolino con una sola parola che diventa martellante (Roar con il sound che l’accompagna è l’apoteosi del brano radiofonico) a ballad quasi sofferte nell’interpretazione (Unconditionally) e canzoni che strizzano l’occhio agli anni ’90 (Walking On Air).

Poi si cambia registro, si rallentano i toni e il disco sembra non avere più i sussulti di cambio ritmo della prima parte. Ma scopriamo insieme quali pezzi incontriamo nell’album

Prism si apre con la hit Roar che ha superato ogni record di vendite nella carriera della cantante. Ogni successo sperato è stato abbondantemente superato. Se all’inizio la vetta non era stata raggiunta- nonostante oltre 500.000 copie vendute in una settimana- è stato solo questione di tempo e la Perry è riuscita nell’impresa di collezionare un’altra numero uno. La forza del brano? La semplicità, l’immediatezza, il senso di riscatto del testo, tutti gli ingredienti più (ab)usati per conquistare il pubblico. Missione compiuta. Legendary lovers spezza il ritmo con sound orientali, lontani e sensuali ma rimanendo ben agganciato al concetto del ritornello furbo e piacione, un buon uso di tamburi, voci tribali e atmosfere esotiche. In Birthday la voce diventa inizialmente più affusolata per poi ‘miagolare’ e acquistare ritmo con il passare del minuti.

Walking On Air è un vincente omaggio alla dance con echi anni ’90. L’hanno fatta ascoltare in discoteca pochi giorni fa e vi assicuro che l’effetto “ballo sfrenato” ha conquistato tutti, chi la conosceva già e chi la ascoltava per la prima volta. Apparentemente ‘innocua’ è una possibile hit da non sottovalutare. Si cambia totalmente registro con Unconditionally, secondo singolo estratto. E’ una ballad semplice, senza troppi artifici ed è probabilmente quella la sua forza più grande. Testo semplicissimo a parte, accompagnato da un video efficace, probabilmente ci accompagnerà per i prossimi mesi. Perché ha una potenzialità altissima e si allontana intelligentemente dal primo brano frizzante e leggero che era Roar. Voce sofferta, amore gridato e urlato. Facilmente vedrà i primi posti della Billboard Hot 100.

Dark Horse featuring Juicy J ricorda le atmosfere della seconda traccia per poi nuovamente virare nel ritornello, apparentemente esplodere e poi ritornare al sound ipnotico dell’inizio. This How We Do abbraccia il pop leggero e da bollicine, con un timbro di voce più robotico e sfacciato, dal sapore di rivalsa, colonna sonora da telefilm per un’ideale passeggiata/ingresso nei corridoi di licei americani

International Smile non avrebbe sfigurato come traccia nemmeno in Teenage Dream per quel sapore fresco e quel coretto che accompagna quasi tutto il brano. Una sorta di California Gurls 2.0 mixata con Last Friday Night. Ghost rallenta il ritmo presentando una midtempo interessante e che cresce con gli ascolti. Love Me appare gradevole ma forse troppo incolore rispetto a quello ascoltato finora, senza un vero e proprio crescendo ma sempre in grado di puntare al ritornello martellante dal primo ascolto.

This Moment si ascolta volentieri e anticipa il brano scritto con Sia Furler, Double Rainbow con una Katy Perry più introspettiva e la voce delicata che risuona con effetto eco e regala un’atmosfera da chi la canta raggomitolata sul divano a guardare la luna in cielo. By The Grace of Lord renderà probabilmente felici i genitori pastori della cantante e mantiene il livello del pezzo precedente, con un pianoforte ad accompagnare il tutto.

Spiritual è il primo brano della deluxe version e scivola via indolore, anticipando così It Takes Two con una Perry sempre più controllata e con un sound meno immediato ma comunque gradevole. Choose your battles chiude la versione speciale di Prism senza particolati guizzi.

E’ un album da promuovere o da bocciare? I fan di Katy Perry probabilmente lo ameranno, i detrattori non troveranno nulla di nuovo e criticheranno anche l’immediatezza di certe canzoni. Come già detto, qui non ci troviamo di fronte ad una serie di potenziali singoli ma ad un lavoro che punta anche sulle atmosfere più raccolte e meno baraccone di Teenage Dream (e non era un difetto, eh!). Le parrucche qua, effettivamente, c’entrano poco (tranne in alcuni pezzi), il disco è variegato e proprio Roar sembra essere il brano meno rappresentativo di questa “nuova era”. La Perry infila una serie di canzoni di sicuro successo e in grado di vendere e conquistare le classifiche. Poi prova, timidamente, a sperimentare qualcosa, a cantare più pezzi ‘raccolti’ e discreti, certa di poter contare su quei brani che non sono qui per caso (citofonare Roar)

Le parti più efficaci sono principalmente nella prima metà dell’album (ad eccezione del brano scritto con Sia) tra contaminazioni di generi, voglia di sperimentare e canzoni ben studiato. Col passare del tempo, sembra invece osare di meno e adagiarsi su uno stile che rischia di raffreddare e ridimensionare la sua personalità a suo agio, invece, in Walking on Air o nella struggente Unconditionally.

Voto: 6/7

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