Home Interviste Cristiano Godano, “Mi ero perso il cuore” è il suo primo album solista (intervista)

Cristiano Godano, “Mi ero perso il cuore” è il suo primo album solista (intervista)

Mi ero perso il cuore, primo album solista di Cristiano Godano: leggi l’intervista su Soundsblog.it

pubblicato 9 Luglio 2020 aggiornato 27 Agosto 2020 07:26

E’ disponibile in digitale, CD e doppio vinile da collezione 180gr “Mi ero perso il cuore” (Ala Bianca Group / Warner Music), il primo album solista di Cristiano Godano, ‘una collezione di canzoni che raccontano i demoni della mente’, un disco attuale che ‘ha il coraggio della paura e esibisce questa poetica vulnerabilità’.

“Mi ero perso il cuore” contiene 13 tracce ed è stato prodotto da Luca A. Rossi e Gianni Maroccolo con Cristiano Godano. Testi e musica di Cristiano Godano. Nell’album hanno suonato, oltre a Godano, Gianni Maroccolo, Luca A. Rossi e Simone Filippi.

Questa la tracklist: La mia vincita, Sei sempre qui con me, Ti voglio dire, Com’è possibile, Lamento del depresso, Ciò che sarò io, Ho bisogno di te, Dietro le parole, Padre e figlio, Figlio e padre, Panico, Nella natura, Ma il cuore batte.

La versione in vinile contiene la bonus track Per sempre mi avrai.

E’ in radio “Com’è possibile”, il nuovo singolo estratto dall’album, un brano che mette l’umanità sul banco degli imputati, citando Bob Dylan “La risposta è lassù / e soffia nell’aria / Quante strade dovrà / di nuovo percorrere / un uomo?”.

Il video del singolo è online sul canale Youtube ufficiale di Cristiano Godano. Con la regia di Lorenzo Letizia, girato al Sonus Factory di Roma, si avvale di immagini di sommosse e catastrofi naturali, per delineare “la bestia” che abita l’uomo, chiudendosi con un riferimento alle recenti proteste in nome di George Floyd (“I Can’t Breathe”) che diventa paradigmatico di una convivenza sempre più complicata dell’uomo con il pianeta terra.

Abbiamo intervistato Cristiano Godano per farci raccontare del suo primo disco solista e ne è uscita una riflessione profonda su diversi temi e tematiche, protagoniste del suo disco, assolutamente da ascoltare.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Mi ero perso il cuore, il tuo album solista racchiude il tema della mente “che mente” e del cuore che è un’arma vincente per non esserne annientato. Mi parli di questo “concept album”?

Questo dualismo è facile da immaginare che esista per chiunque viva un’esperienza riflettendo su chi è, cosa fa, come fa, come sta al mondo. Credo si possa arrivare a comprendere che c’è la parte direttamente connessa con le nostre emozioni primordiali -la metafora è quella del cuore- e poi c’è la parte raziocinante che ci permette di valutare l’esistenza dal punto di vista più ponderante. Come hai detto tu in questo concept album, con la mente di rischia di essere soggiogati. Molte persone con consapevolezza o tramite le parole del mio disco, possono rendersi conto che si sta dando troppo peso alla mente. Quando è così prevaricante da diventare un elemento ossessivo e assillante nel quotidiano, allora credo ci sia un problema perché stare dietro a queste ossessioni è come stare dietro a delle menzogne. La mente, quando si fortifica in questo modo, è quasi una realtà falsata. E il recupero del cuore vuole alludere alla possibilità di equilibrare le cose e tornare ad avere un approccio esistenziale meno problematico.

Volevo chiederti una cosa: la mente, secondo te, quanto è collegata alla morale, alla moralità o al perbenismo della società. Quanto può essere condizionata da questo?

Immagino in misura cospicua. Dovrei rifletterci bene, tutto il contesto sociale in cui viviamo è fatto di realtà immaginate. La stessa morale è una realtà immaginata, non è biologica. Noi ci siamo date delle regole per vivere in un contesto sociale proprio dalle origini quando ci siamo trasformati da uomini cacciatori a uomini agricoli. Anche grazie al potere dell’immaginazione abbiamo costruito situazioni che sono immaginarie e non reali. La stessa morale connessa all’immaginazione e alla mente. La mente può essere sicuramente connessa a questa cosa che mi hai detto tu. Probabilmente è proprio la mente che crea i presupposti per la morale. Grazie al nostro potere immaginifico e alla nostra capacità di essere consapevoli, ci permette di costruire delle dimensioni immaginate. Ad esempio, io penso che la religione sia una costruzione immaginaria: a livello biologico non c’è scritto da nessuna parte di un Dio, ce lo siamo creati noi, fa parte delle costruzioni immaginarie. E’ quindi probabile che sia la mente ad avere creato la morale…

Collegandomi al tuo disco, la fragilità esce come un punto di forza, la verità di essere se stessi…

Senza scomodare dinamiche di contesti sociali, sembrerebbe che si sia ancora impantanati nella società dell’apparire piuttosto che dell’essere. La convenienza di dare di noi un’immagine vincente, tonica, elegante ecc ecc. Arrivare a confessare di aver paura o la propria vulnerabilità è comunque un atto di coraggio, in un contesto sociale come quello di oggi. L’essere veritieri non è, per me, esserlo nei confronti del pubblico. E’ un atto di coraggio di per sé. Conviene nei confronti di se stesso. Avere la consapevolezza di avere un problema -cioè la mente che prevarica- implica esserne consapevoli. E l’esserne consapevoli, a sua volta, implica l’aver fronteggiato questa cosa e aver avuto la lucidità di dire: “Ok questo è il problema, la mente sta prevaricando, cosa posso fare?”. E’ un livello di consapevolezza che si è raggiunto se non si mente a noi stessi.

Il titolo dell’album è “Mi ero perso il cuore” e l’ultima canzone presente nel disco è “Ma il cuore batte”. Il cuore è protagonista assoluto. Come sei riuscito tu a renderlo protagonista del tuo quotidiano e scardinare il ruolo della mente che, a volte, diventa nemica?

Ci tengo a sottolineare che sono un grande ammiratore della mente, lo considero uno dei valori che più apprezzo: la cultura, la capacità di essere in grado di costruire situazioni intelligenti. Non posso dire che questo disco è contro la mente, penso di aver messo in scena una dialettica esasperata, quando la mente prevarica. Così non va più bene. Alla luce di questa cosa ho riposizionato il cuore che proprio il contraltare di tutto ciò. E’ il riacciuffare la dimensione connessa con la parte primordiale delle nostre emozioni, quella meno filtrata dal raziocinio. Poi, ripeto, sono molto attratto dal raziocinio, dalla capacità dell’uomo di affrontare le cose con la mente. Ma in un contesto degenerato e parossistico, il recupero del cuore è una terapia essenziale.

Nel tuo ultimo singolo, Com’è possibile. Ci sono delle immagini, nel video, dei danni che fa l’uomo, della bestia che quando emerge è distruttiva. Ci sono anche riferimenti al caso di George Floyd, recentissimo. Mi racconti come è nata l’idea di questo video?

La canzone ha un mix curioso di particolare leggerezza nella parte musicale, country, oso dire quasi spensierato. E’ un modo che mi si confà molto quando suono in casa. Non deve sempre essere tutto rabbioso, del resto i Marlene Kuntz hanno lottato una vita e dieci dischi per avere il diritto di fare il cazz0 che vogliono con la loro musica e non aderire a un cliché. Mentre invece, nel brano c’è un inquietudine di fondo che mi ha condotto, in maniera spontanea, dalle prime parole del testo ad approdare a quelle di Bob Dylan. Come fosse una emanazione di quello che avrei potuto pensare io. E’ chiaro che non mi sto appropriando delle facoltà di Bob Dylan, quelle parole mi sono arrivate come logica prosecuzione di quelle che avevo scritto io. Il video è stato pensato con queste confessioni fatte con il mio regista: ho spiegato questo mix che ho raccontato a te, questa leggerezza apparente della musica con le inquietudini del testo e siamo arrivati a immaginare una canzone dove, molto semplicemente, io suonavo una chitarra acustica -immagine che amavo perché voglio far vedere che Godano è uno che imbraccia anche una chitarra acustica- e c’è venuta questa idea, nata all’inizio un po’ da me. Era bello inserire nel video delle immagini che provenivano da questo contesto culturale, degli anni Sessanta, manifestazioni pacifiste e lentamente vengono contestualizzati. Io ho scritto la canzone nel 2019, è uscita nel 2020. E’ un tentativo di rappresentare le inquietudini dell’io narrante e di dargli un volto.

Ti volevo fare un’ultima domanda. Il periodo del lockdown. Molti si sono affacciati alle finestre, ai balconi, dando questa immagine solidale, di gruppo. Tutti uniti. A volte è apparsa un po’ forzata, non chissà quanto duratura. Volevo chiederti come hai vissuto il lockdown e se questa immagine di solidarietà di cui tanto si millantava, non è diventata, oggi, paura e sospetto verso l’altro.

A un certo punto, quando sono partire le dirette ero sospettoso, mi sembravano, in tutta onestà, delle paraculate. Poi però ho trovato la mia via per farne e mi sono reso conto che fatte in maniera onesta e non improvvisata (preparandomi un canovaccio per potermi gestire), avevano un significato: la creazione di una piccola comunità che amava sentirsi guidato da me in successioni di varia natura, sempre artistica: dalla letteratura, alla musica, passando per la poesia. Mi venivano chiesti consigli per la lettura per il cinema e per me erano spunti per dire cose che fossero utili, sempre comunque artistiche. Invitai la gente a mandarmi le domande tramite mail: molte domande vertevano proprio su questa apprensione. Mi chiedevano “Secondo te miglioreremo o no?” Io chiaramente mi premuravo di mettere le mani avanti: sono uno come voi, sono un artista, sì, forse con una sensibilità. Posso dirvi cosa ne penso. Spero, come tutti voi che il Covid sia un monito da cui non prescindere ma sono perplesso. E in effetti mi sembra si stia facendo di tutto per tornare come prima, Il Global Warning non è servito a nulla, considerato come problema. Le immagini degli animali che si appropriavano nei nostri centri urbani vuoti avevano una tale forza poetica all’interno, che avrebbero dovuto commuovere tutta l’umanità, tranne gli stolti. C’era qualcosa di importante, non potevamo lasciarsi sfuggire questa occasione. Inizialmente sembravano tutti disponibili a essere colpiti poeticamente – forse artificiosa, vedendola a posteriori- ma poi torneremo tutti alle nostre faccende di corsa e a inquinare il mondo. A me spiace passare come quello che ha una visione pessimistica ma mi pare molto realistica, invece. Io credo che siamo in un cul-de-sac: otto miliardi di persone in un pianeta che non è tarato per gli agi di 8 miliardi di persone. E quello che abbiamo visto all’inizio del lockdown era, ahimè, una compassione artefatta suggestionata da un momento di sollecitudine: si era tutti impauriti. Per questo ho fatto uscire il mio disco in questo periodo, con il tema della vulnerabilità e della paura. Credo che un animo sensibile possa sentirsi accolto da questo ascolto.

Interviste