Home La morte di Kurt Cobain 20 anni fa: l’eredità della voce di una generazione

La morte di Kurt Cobain 20 anni fa: l’eredità della voce di una generazione

Il frontman dei Nirvana si è tolto la vita il 5 aprile del 1994. Cosa ci ha lasciato

pubblicato 5 Aprile 2014 aggiornato 29 Agosto 2020 20:22

C’è la generazione di giovani che si chiedeva “dov’eri quando hanno ucciso il presidente Kennedy”, c’è la generazione di giovani che si chiede “dov’eri l’11 settembre”, e ci sono i giovani che si sono chiesti “dov’eri quando è morto Kurt Cobain”.

Il secondo ‘day the music died’, un vero e proprio shock per la cosiddetta generazione X: è il 5 aprile 1994 quando Kurt Cobain, leader dei Nirvana, decide di porre fine alla sua breve esistenza – aveva soltanto 27 anni – con un colpo di fucile, dopo aver scritto un’accorata lettera d’addio al suo amico immaginario Boddah.

Questi i fatti, o meglio, la ricostruzione più plausibile e meno complottista. Il corpo del musicista venne ritrovato soltanto l’8 aprile, nella serra sopra al garage, da un elettricista, arrivato alla villa di Seattle per alcuni lavori.

Dov’ero io? Nel bagno della mia scuola, alle medie – ero in seconda o in terza -, quando una mia compagna di classe entrò dicendo “E’morto Kurt Cobain, quello dei Nirvana”. Ricordo che tornai a fissare le piastrelle azzurre della stanza, mentre mi lavavo le mani, perchè all’epoca ancora non sapevo chi fossero, e men che meno chi fosse curtcobèin.

Avrei scoperto i Nirvana solo un paio d’anni più tardi.

Ma solo con il tempo – processo che tra l’altro continua ancora oggi – sarei riuscita a comprendere pienamente la loro vera portata rivoluzionaria, e le rivoluzioni artistiche che Cobain, ingiustamente snobbato da molti e relegato allo status di ‘ascolti dell’adolescenza’, ha regalato ai posteri nel corso della sua carriera.

Prematuramente interrotta. Premendo quel grilletto Kurt ha fermato un meccanismo perverso che non riusciva più a sopportare: ovvio, nessuno cerca di diventare famoso se non lo vuole, ma forse Cobain non pensava di ottenere tutto quel successo quando ha iniziato l’avventura con i compagni Krist e Dave.

E’ rimasto intrappolato, combattuto tra la filosofia ‘true’ punk-hardcore che lo ha ispirato, almeno agli inizi, la fama, la responsabilità di quell’investitura a ‘voce di una generazione’, e la tossicodipendenza.

Eppure ascoltando i Nirvana a distanza di tempo, ad ogni ascolto, si riescono a cogliere le sfumature che a orecchio acerbo sfuggono, e si individuano le mille influenze che hanno contribuito a decretare il successo del trio: basta prendere l’elenco dei dischi preferiti da Kurt, e ascoltarli tutti.

A questo unite la profonda sincerità dei testi, a tratti spiazzante: ma è stato anche grazie a questo che Kurt è riuscito a toccare l’anima di una generazione smarrita, disillusa e senza speranza (‘no hope’, l’evoluzione del ‘no future’ punk) in una sorta di seduta di gruppo amplificata da Mtv.

Per questo ancora oggi chi ama i Nirvana preferirebbe non dover ricordare il ventennale di una morte ancora se vogliamo senza una spiegazione e con troppi interrogativi ancora aperti.

Ma anche per questo Cobain è l’ultimo grande della musica, e molte band di oggi, con quella dannosa e contagiosissima attitudine da poser, avrebbero ancora molto da imparare.

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