Home Max Pezzali Max Pezzali, esce Max 20: “Nel pop italiano si è persa la voglia di raccontare la quotidianità. Eredi degli 883? I rapper” – intervista Soundsblog

Max Pezzali, esce Max 20: “Nel pop italiano si è persa la voglia di raccontare la quotidianità. Eredi degli 883? I rapper” – intervista Soundsblog

Sui duetti: “Lorenzo, Jovanotti, è la persona e il cantante senza il quale io non avrei mai cominciato a fare questo lavoro”

pubblicato 31 Maggio 2013 aggiornato 15 Ottobre 2020 16:24

Cinque inediti e 14 duetti per chiudere un cerchio: dopo la pubblicazione della compilation-tributo di Rockit e la riedizione di “Hanno ucciso l’uomo ragno” con i più importanti esponenti del rap italiano, Max Pezzali regala ai suoi fan una nuova chicca.

Da “Welcome mr. President” a “Nord Sud Ovest Est feat. Elio”, una grande festa tra amici – e idoli -:“Max 20” è la summa definitiva di questa lunghissima celebrazione per i 20 anni (e qualcosina) di carriera degli 883, il gruppo che vedeva in formazione anche Mauro Repetto. Il lavoro è stato anticipato dal singolo “L’universo tranne noi”.

Qualche giorno fa abbiamo incontrato Max negli studi della sua casa discografica. Ecco cosa ci ha raccontato.

Prima c’è stata la compilation di Rockit, poi la riedizione di “Hanno ucciso l’uomo ragno”: come mai un disco di duetti?

L’idea prosegue completa il progetto iniziale di celebrazione dei primi 20 anni di carriera. Quest’anno abbiamo pensato di chiudere il discorso ‘ventennale’ coinvolgendo i colleghi e amici con cui sono cresciuto e con cui ho condiviso la scena italiana in questi vent’anni. Ci sono i miei miti da sempre, che erano leggendari prima che io cominciassi (Antonello Venditti, Claudio Baglioni, Eros Ramazzotti), e i colleghi e amici che si sono uniti strada facendo (Cesare Cremonini, che è il più forte cantautore puro che ci sia in Italia adesso, Gianluca Grignani, che ha iniziato quando ho iniziato io). E’ sempre difficile con 14 colleghi, perchè dovresti dirli tutti…Lorenzo, Jovanotti, che è la persona e il cantante senza il quale io non avrei mai cominciato a fare questo lavoro. E’ stato un modo per unire tutto ciò che mi piace nella musica pop italiana e metterla nel mio disco.

C’è una canzone a cui sei più legato?

A qusta domanda tutti risponderebbero che ‘ogni scarrafone è bello a mamma soja’: ogni canzone, ogni cosa che hai fatto, in quel momento lì per te rappresentava qualcosa. Posso dire “Gli anni”, perchè ci sono affezionato per certe cose. Sono affezionato per altri motivi a “Quello che capita” con Antonello Venditti, sono affezionato a “Tieni il tempo” con Jovanotti perchè ci ho vinto un Festivalbar. Ogni canzone ha rappresentato un pezzo importante della mia vita e per me è veramente difficile scegliere.

Hai proposto tu i brani ai singoli artisti, o ognuno ha scelto il suo da un elenco?

L’idea era quella di proporre qualcosa che non fosse troppo lontano dal mondo musicale di chi stavo coinvolgendo. C’è stato un lavoro mio, di Pierpaolo Peroni, di Claudio Cecchetto, di confronto – sulle caratteristiche vocali, la sensibilità, quello che uno si è messo in testa della produzione dell’altro -. Volevo che venissero proposte delle canzoni inerenti all’artista. E’ stato un lavoro di grande selezione, è importante proporre la canzone che possa essere indossata dall’altro artista. Per fortuna è andata bene con tutti, tutti si sono sentiti subito coinvolti dalla canzone che avevamo proposto.

Gli inediti li hai scritti apposta per il disco?

Li ho scritti appositamente: volevo che l’idea di un album celebrativo del ventennale non fosse solo un ‘best of’, una celebrazione del passato, ma che ci fosse anche un po’ di presente. Quando fai questo mestiere devi sempre guardare avanti, cercare di pensare a cosa sarà piuttosto che a quello che è stato. Come dicono in America per l’hockey: devi immaginare dove sarà il dischetto. Se no se ti guardi troppo indietro ti spegni. Volevo raccontare il mio modo di scrivere di adesso, mettere un po’ di contemporaneità.

Qual è la canzone che i fan ti chiedono di più?

Ce ne sono alcune assolutamente necessarie: mi richiedono sempre“Come mai”, “Hanno ucciso l’uomo ragno”, e anche “Gli anni”.

Nei primi dischi degli 883, e nel nome stesso della band, il mondo delle moto era presente. Quanta…moto c’è oggi nella tua musica, è ancora presente?

Non fai magari la canzone che parla direttamente della motocicletta, se no sembra una motomania. Però la moto è sempre presente, perchè il 90% delle canzoni che faccio le rimugino in moto: per me la moto è un modo per staccare dal pensiero ossessivo quando stai facendo una canzone o delle cose, c’è il punto su cui ti stai incartando, ti stai avvitando un po’ troppo su te stesso, e allora bisogna staccare la spina. Ognuno ha il suo modo preferito, per me è mollare tutto e fare un giro in moto.

Degli amici e colleghi che hanno collaborato con te su questo disco, con quanti condividi questa passione?

Beh, Eros è un grande motociclista, molto veloce per altro. E’ più ‘smanettone’. Lorenzo è motociclista, ricordo di aver letto di alcuni suoi giri in enduro anche con Valentino Rossi, e mi sembra abbia fatto dei giri in moto con Simoncelli. Elio invece è un vespista, nel programma su Deejay Tv ho fatto un giro con Faso e mi sembra di aver capito che anche Elio sia un vespista. Cesare Cremonini è un ‘motociclista acquisito’: non so se ne abbia una, ma da “50 Special” il legame con le due ruote c’è sempre.

Gli 883 hanno segnato un momento importante nella storia della musica italiana: avete prepotentemente inserito la quotidianità della provincia nelle vostre canzoni. C’è qualcuno che secondo te oggi ha raccolto la vostra eredità?

Io credo che oggi sia più un discorso legato al rap: si è un po’ persa la voglia di raccontare il quotidiano – della realtà materiale, il racconto descrittivo della quotidianità – nel pop italiano. Questa cosa è passata al rap: la realtà italiana attuale è piena di interpreti e non di autori. Abbiamo bravissimi interpreti, ma pochi scrivono e pochi raccontano la loro realtà. Siamo tornati ad una fase ‘conservatrice’ della musica italiana, in cui certe cose non vengono considerate abbastanza “poetiche” o altisonanti per avere la dignità di canzone. Cosa assolutamente sbagliata secondo me, perchè la canzone ha bisogno di nutrirsi della quotidianità per essere vera, se no diventa una canzone di maniera. Oggi i rapper raccontano la realtà da cui sono partito io.

Tu hai scritto pochissimo per altri, è perchè senti le canzoni in qualche modo ‘troppo tue’?

Ho scritto “Finalmente tu” per Fiorello – altro grande motociclista tra l’altro, sul lato ‘manetta spalancata’ – quando siamo andati a Sanremo nel 1995. Non sono un grande autore per altri. Scrivo delle cose un po’ troppo costruite sul mio modo di raccontare, non riesco a mettermi nei panni di qualcun altro, mi è più difficile.

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