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Jo Chiarello a Blogo: “Gli artisti al mondo d’oggi? Prodotti e non più persone. Ho una nuova canzone…”

Jo Chiarello pronta a tornare con un nuovo singolo? L’intervista della cantante su Blogo.it

pubblicato 2 Novembre 2015 aggiornato 29 Agosto 2020 00:44

Tra gli ultimi, è stato proprio Renzo Rubino, con il suo recente tour, a riportare sul palco uno dei brani simbolo di Jo Chiarello. Parliamo di Che brutto affare, brano che lo stesso cantante aveva interpretato ospite, a gennaio 2014, dell’Edicola Fiore. Un pezzo che poi ha voluto reinterpretare anche durante le tappe dei suoi concerti. E a renderlo famoso nel nostro Paese fu Jo Chiarello, al Festival di Sanremo 1981. Lei stessa ci assicura di avere una nuova canzone potente, chiusa in un cassetto, e di volerla pubblicare in duetto con un nome importante della musica italiana. Chi? Scopritelo leggendo la nostra intervista.

Come va Jo? Che periodo è?

Sto benissimo, è un bel periodo.

E proprio negli ultimi tempi si parla di un tuo “ritorno” sulle scene…

Si diciamo che non sono mai andata via ma ho rallentato perché avevo delle priorità per me importanti, i miei figli. Si è sposata anche mia figlia e mi sono dedicata a loro. Ho continuato a dedicarmi alla musica, a fare dei concerti. Magari ho scelto un po’ di più: certe cose le ho fatte, altre no. Non mi sono mai allontanata completamente.

Come vedi la situazione discografica italiana tra gli anni 80 e i giorni d’oggi?

E’ una bella domanda perché secondo me è cambiata molto. Prima su un giovane si investiva, la casa discografica investiva dei soldi. Se non andava, comunque, credevano nel personaggio, nell’artista. Adesso è diverso. I ragazzi escono dai talent e vedono solo se funzionano. Non sono più persone, sono prodotti. L’artista vero magari c’è ma non gli danno la possibilità di tirare fuori quello che hanno dentro. Poi secondo me ci sono troppe voci uguali, tutti che urlano… L’artista deve cantare con l’anima, con il cuore, deve avere una voce particolare. Ai miei tempi si studiava tutto di un artista, il personaggio -la tua personalità o ce l’hai o no- però era importante anche l’aspetto fisico, il vestito, il trucco, il modo di essere… Io sono andata anche a scuola di dizione.

Per iniziare a cantare?

Sì, quando vinsi il concorso Teenager che fu prima ancora del mio debutto a Sanremo, vinsi questa borsa di studio della casa discografica che mi faceva cantare, recitare, ballare. Ho fatto anche danza classica per tanti anni al Teatro Massimo di Palermo.

C’è era una preparazione a 360 gradi?

Bravo, esatto. A 360 gradi. Ho fatto anche musical, una artista era veramente vista in un futuro e non soltanto in un progetto. Non è come con i ragazzi che vedi oggi che mi fanno anche tenerezza perché se non funzionano è finito. Si illudono. Una volta c’era uno studio effettivo, non era una cosa così. E non era uno studio vocale, eh. Adesso pensano solo di studiare a livello vocale e vengono fuori tutte queste voci impostate. L’unica cosa che, allora, mi vietarono di fare era il canto, lezioni di canto. “Tu puoi fare dizione e recitazione, ma il canto no”. Perché se tu imposti la voce, allora diventano tutte uguali. Si perdevano delle caratteristiche che il discografico di allora voleva mantenere.

Ho letto che il tuo primo mentore fu Califano.

Sì. è stato colui che mi ha scoperto proprio al concorso Teenager. C’era lui in giuria. E’ stato lui che ha scritto Che brutto affare, all’epoca troppo moderno forse (ride). Pure oggi questo brano continuano a ricordarlo.

Il ricordo che hai di lui? Quanto è stato importante?

Per me è stato essenziale, è stato lui a scoprirmi e portarmi nella mia prima casa discografica. Da lì è partito il progetto. Chiaramente i primi anni abbiamo lavorato bene, poi non ci siamo più trovati d’accordo a livello musicale. Ma questo è normale, può succedere. E’ stata una persona importante, ho fatto tour in tutta Italia, ho fatto la vera gavetta.

Cosa che adesso manca.

E’ l’immagine della televisione. Prendono l’artista DOPO i talent, assurdo. Sai quanti ragazzi magari mandano i brani alle case discografiche ma non vengono considerati? Troppo potente la televisione.

Che brutto affare è stato uno dei tuoi primi grandi successi e ancora oggi…

Sì, esatto, quello che ha stupito anche me. L’anno scorso mi ha chiamato Rubino, il cantante che ha partecipato a due edizioni di Sanremo, che mi ha detto “Ho fatto uno spettacolo all’Auditorium di Roma, canto anche la tua canzone, mi piace tantissimo”. Io lo sapevo perché ero al corrente che l’aveva cantata anche in radio, da Fiorello, però mi sono stupita perché è un ragazzo giovane che canta un mio pezzo. Mi ha invitata e io sono andata all’Auditorium a cantare Che brutto affare, con lui. E’ stato molto carino. Ho provato belle emozioni, era da tanto che non la cantavo.

La tua prima partecipazione a Sanremo è stata nel 1981.

C’era Eduardo De Crescenzo con Ancora, questa canzone meravigliosa. Ero molto giovane, l’ho vissuta con incoscienza. Non mi ero resa conto di quel palco, che quello era Sanremo…

Non era forse la cosa più bella?

Ma, insomma. Un pochino secondo me ti devi rendere conto della grande opportunità che hai. A me quell’anno fecero fuori. E’ stato poi quel pezzo che, nell’estate, fu un tormentone in radio e per i ragazzi. Andò benissimo lo stesso. Forse il mio essere così giovane non mi ha fatto rendere conto di quello che stavo facendo ma è stata comunque un’esperienza meravigliosa. Ho vissuto molto di più il secondo Sanremo.

Che differenze ci sono state?

Nella seconda c’avevo paura proprio! (ride) Avevo mal di pancia, era un palco pazzesco, diverso da quello di Un disco per l’estate. Ero molto emozionata tutte le sere.

Nella tua seconda partecipazione al Festival di Sanremo c’erano grandi nomi tra cui l’indimenticabile Mia Martini…

Mimì, sì. E’ stato un anno importante perché poi c’era Sanremo in the world per la prima volta. Siamo andati tutti quanti in giro per il mondo. Quando fai Sanremo conosci tutto ma è così veloce tra interviste e gare che non ti vivi gli altri. Quando siamo stati 20 giorni tutti insieme, lì ho conosciuto le persone. E Mimì era colei con cui avevo più legato, una grande donna, straordinaria. Fantastica.

Torniamo ai giorni d’oggi. Tu hai una canzone tra le mani…

Mi è arrivato questo pezzo bellissimo che però mi piacerebbe molo condividere con qualche altro artista. Parla delle donne.

Hai qualche nome in mente?

Ce ne sono tante, una ad esempio la Rettore, secondo me a lei piacerebbe tantissimo. Non si sa, io sono molto fatalista nelle cose. Devono succedere.

Che musica ascolti?

Tutto, ascolto italiana, estero, tutto quello che mi regala emozioni. Mi piacciono Sting e i Police. E tutto quello che passa in radio. Ma sai qual è la differenza oggi?

Cosa?

Non ci sono più gli autori, una volta c’erano loro e gli interpreti. Dicevano “Scrivo questa canzone per… Mietta. O Jo Chiarello. O Anna Oxa”. C’era una ricerca tra i vari autori. Adesso tutti vogliono scriversi i pezzi e spesso escono fuori delle cose veramente brutte. Sbagliano. Una volta era diverso: c’erano autori meravigliosi come Malgioglio. Ce n’erano tantissimi, anche giovani. Avevano più spazio. Oggi invece è la moda del “Me la suono e me la canto”. Per i miei gusti c’è poco o niente di nuovo. E parlo anche di artisti conosciuti. Non voglio fare nomi eh, magari sono bravi, potrebbero incidere canzoni meravigliose e invece si scrivono i pezzi da soli e vengono fuori delle schifezze.

Il tuo inedito, invece, parla di donne, mi accennavi?

Sì, io sono molto sensibile a tutto quello che succede alle donne. E’ un brano molto importante, spero di poterlo condividere con qualcuno. E’ un progetto talmente importante che vorrei avesse un suo perché. Non deve uscire tanto per, non ha senso. Allora è meglio se non esce.

Qual è la canzone -la prima che ti viene in mente, eh- che pensi “Avrei voluto cantarla per prima io”?

Almeno tu nell’universo, sicuramente. La prima è questa.

Negli anni 80, 90, c’erano artisti dai quali potevi aver preso involontariamente ispirazione?

Forse tutte quelle un po’ rock, un po’ personaggio. Tipo Rettore, Bertè. O anche la Oxa. Involontariamente, come dici tu. Io fondamentalmente ho un’anima rock.

Manca questo lato rock nella musica italiana d’oggi?

Sì, mancano, ma sono sempre lì. La gente se le ricorda, hanno anche un po’ di nostalgia. Molti dicono “Perché non tornate”, tu, la Rettore, la Biolcati… Poi ci sono, soprattutto, le belle canzoni che oggi mancano.

C’era più attenzione negli anni Ottanta alla scrittura e alla cura delle canzoni.

Nei dettagli, nel testo, all’arrangiamento, a come lo dovevi cantare. L’interpretazione. Se sentivi delle cose, se non le sentivi.

Ultima domanda: i talent show li segui ogni tanto?

A me non piacciono, non sono d’accordo. Le case discografiche devono credere nei giovani a prescindere. Una volta c’era un Sanremo Giovani a cui, oggi, dovrebbero dare più spazio. Una volta c’era anche Castrocaro che aveva importanza. Ma le case discografiche devono investire sui giovani anche al di fuori di Sanremo o dei talent. Il primo magari magari non funziona ma il secondo lo azzecca. Ci deve essere un lavoro a prescindere dai talent.

Gli ultimi anni di Sanremo li hai visti?

Sì, mi è piaciuto ma credo che potrebbe migliore. Come dicevo prima, servono gli autori che scrivono per i cantanti.

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