Trieste, Lucio Corsi: testo e significato della canzone
Testo e significato della canzone Trieste di Lucio Corsi: il vento è un invito a lasciarsi trasportare, a non restare immobili nella vita

Trieste è una canzone di Lucio Corsi presente nell’album “Cosa faremo da grandi?” uscito il 17 gennaio 2020. Dopo il secondo posto al Festival di Sanremo e in attesa della sua partecipazione all’Eurovision Song Contest 2025, il pubblico ha riscoperto i brani del passato e anche “Trieste” è diventato uno dei pezzi più virali degli ultimi giorni.
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Il testo di Trieste di Lucio Corsi
Leggi il testo di Trieste di Lucio Corso.
Scoprimmo che il vento cantava il giorno che passò in tivù
Lasciando di stucco un camionista che si riposava per qualche ora in un bar
Da quel giorno per le strade di Trieste vive gente convintaChe il vento no, non era un freno ma una spinta
Che il vento no, non era un freno ma una spinta
Utile per tenere le nuvole in viaggio
Per chi è fermo e non trova il coraggio
Vento che spinge sia le barche che gli uomini
Se non riescono a muoversi
Se non riescono a muoversiScoprimmo che il vento cantava la sera che passò in tivù
Fischiando nei televisori di casa in casa, ma senza muovere niente
Da quel giorno nei palazzi di Trieste vive gente convintaChe il vento no, non era un freno ma una spinta
Che il vento no, non era un freno ma una spinta
Utile per tenere le nuvole in viaggio
Per chi è fermo e non trova il coraggio
Vento che spinge sia le barche che gli uomini
Se non riescono a muoversi
Se non riescono a muoversiVenne eliminato dallo show e rispedito in piazza
Gli dissero che per rimanere in tivù serve la faccia adatta
Ora lo trovi senza labbra, senza denti e senza lingua
Sul lungomare rovinare i silenzi, da solo che fischiaIl vento no, non era un freno ma una spinta
Il vento no, non era un freno ma una spinta
Utile per tenere le nuvole in viaggio
Per chi è fermo e non trova il coraggio
Vento che spinge sia le barche che gli uomini
Se non riescono a muoversi
Se non riescono a muoversi
Il significato della canzone Trieste di Lucio Corsi
“Trieste” di Lucio Corsi è una canzone che trasforma il vento, elemento simbolico e caratteristico della città, in una metafora sul coraggio, sulla spinta al cambiamento e sulla libertà.
Il testo racconta di un giorno in cui “scoprimmo che il vento cantava”, quando apparve in televisione e lasciò di stucco un camionista che si riposava in un bar. Questo evento cambia la percezione della gente di Trieste, che da quel momento non vede più il vento come un ostacolo, ma come una forza propulsiva:
“Che il vento no, non era un freno ma una spinta” una frase che si ripete come un mantra. Il vento aiuta chi è fermo e non trova il coraggio, spinge non solo le barche, ma anche gli uomini che hanno difficoltà a muoversi nella vita.
Nella seconda strofa, il vento torna a cantare, fischiando attraverso i televisori ma senza realmente smuovere nulla, come se la sua forza fosse stata ridotta a un fenomeno di intrattenimento. Infatti, quando viene portato in televisione, viene poi eliminato dallo show e “rispedito in piazza” perché “per rimanere in tivù serve la faccia adatta”. Questa parte può essere letta come una critica al mondo dello spettacolo, che non accoglie l’autenticità e la diversità, ma impone standard preconfezionati.
Infine, il vento, ormai privato di voce e identità (“senza labbra, senza denti e senza lingua“), continua a fischiare solitario sul lungomare, quasi come un reietto. Ma il messaggio resta immutato: il vento non è un ostacolo, ma una spinta, un invito a lasciarsi trasportare, a non restare immobili nella vita.