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Recensioni: “Blackout” di Britney. XL VS Rolling Stone

Un delle cose più odiose che succedono nel mondo del giornalismo internazionale è che si parla tantissimo di gossip musicale e pochissimo dell’artista, tanto che alcuni di questi si ritrovano conosciuti più per il gossip che per la loro musica. E in alcuni casi questa è proprio la loro fortuna.Per dare una svolta questa tendenza

di aleali
pubblicato 22 Dicembre 2007 aggiornato 31 Agosto 2020 23:51

Un delle cose più odiose che succedono nel mondo del giornalismo internazionale è che si parla tantissimo di gossip musicale e pochissimo dell’artista, tanto che alcuni di questi si ritrovano conosciuti più per il gossip che per la loro musica. E in alcuni casi questa è proprio la loro fortuna.

Per dare una svolta questa tendenza giusta ma deterioratrice rispetto al nostro centro di interesse, eccovi un piccolo confronto tra due recensioni dedicate a “Blackout” di Britney Spears. La prima, di Paolo Madeddu è stata pubblicata sull’ultimo numero di Rolling Stone. L’altra, su XL, è di Andrea Silenzi. Proviamo a rileggerle assieme.

Recensione di “Blackout” di Paolo Madeddu per Rolling Stone

Premessa forte e chiara: lei è una cretina, e col botto. Ma complimenti a chi ha pensato questo disco. Produzione dance elettronica, feroce, che pesca sia da Timbaland sia, come nonna Madonna, dagli anni ’70: queste sono le sue Confessions on a Dance Floor, niente ballate e testi che danno al pubblico quel che vuole: il personaggio e non la persona.

Mentre la Aguilera ha puntato su un target più adulto, la Spears, sputtanata e con le spalle al muro, chiede aiuto alla base leale dei fan giovanissimi. Così, tra due anni questo disco suonerà ridicolo, ma ora funziona. Del resto il domani non le è mai interessato, lei è sempre stata il presente e nel presente la storia “Barbie è cresciuta” non se la berrebbe nessuno. Ma certo, se la musica da masticare fosse tutta così, non sarebbe male, eh.

Recensione di “Blackout” di Andrea Silenzi per XL

La storia di Britney sarà pure sociologicamente interessante, ma questo non ha niente a che fare con la sua musica. Il suo processo autodistruttivo, così significativo dal punto di vista mediatico e così carico di metafore, non le regala neanche un grammo in più di talento. Ciò detto, tirare fuori tanta filosofia per una come Britney è l’ennesimo paradosso di un modo profondamente malato.

Ci si appassiona alla lettura trasversale del suo successo (successo?), ma le sue evoluzioni sono penose. Finirà nel circo dei freak un tempo famosi, ricordata per la sua biografia disperata (eppure si conoscono vite peggiori) ma mai per le sue canzoni. Per quelle di Blackout, poi, sarà proprio difficile.

Noi poveri vecchi vorremmo solo fermare il circo. Lasciateci illudere che il nostro lavoro sia ancora basato sui fatti e non sulle parole, e che i fatti nella musica siano (ancora) le canzoni. Se così è, queto disco è brutto, perchè è finto come il mondo che vorrebbe rappresnetare e di cui è solo la negazione.

Il resto è roba da sociologi o da astuti affabulatori che blaterano senza sosta sull’abusato e mutevole concetto di pop.

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