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live report: peaches@rainbow club, milano 22/09/2006

In molti attendevano il ritorno dal vivo della signorina Merrill Nisker, in arte Peaches, dopo la trascinante ed esilarante esibizione milanese di tre anni fa. In quella occasione, servendosi di una strumentazione minima (un microfono e un DAT) si era esibita in compagnia di due improbabili ballerine, riscuotendo comunque aperti consensi grazie alla sua istrionica

pubblicato 10 Ottobre 2006 aggiornato 1 Settembre 2020 02:42

In molti attendevano il ritorno dal vivo della signorina Merrill Nisker, in arte Peaches, dopo la trascinante ed esilarante esibizione milanese di tre anni fa. In quella occasione, servendosi di una strumentazione minima (un microfono e un DAT) si era esibita in compagnia di due improbabili ballerine, riscuotendo comunque aperti consensi grazie alla sua istrionica vena di intrattenitrice; ebbene, la 38enne canadese di Toronto non ha di certo deluso le aspettative di quanti hanno affollato il Rainbow Club venerdì 22 settembre, per assistere al suo nuovo e sfavillante live set.

In un’ora e mezzo di concerto vengono passati in rassegna il meglio ed il peggio della sua produzione recente e passata, che ha nell’ultimo e controverso album “Impeach my bush” un ideale punto d’arrivo. Ciò che ne scaturisce è un tappeto sonoro perfetto per il nuovo pirotecnico show della cantante, supportata in questo tour da un’agguerrita e inedita band tutta al femminile, ribattezzata The Herms e composta da un formidabile trio di musiciste: la batterista Samantha Maloney (ex Hole), la tastierista delle Tigre JD Samson e la chitarrista Radio Sloan, già al lavoro con The Need e Courtney Love.
Potendo contare su un simile terzetto alle sue spalle, Peaches può momentaneamente deviare la sua attenzione dagli sketch a luci rosse che costituivano il nucleo portante delle sue performance passate per esibire una sessualità apparentemente meno estrema e macchiettistica; le pulsazioni elettroniche che l’hanno resa una paladina della scena electroclash possono ora flirtare dal vivo in maniera esplicita con chitarre e batteria. Nello stesso tempo, le sue personali prurigini e i suoi testi politicamente scorretti possono liberamente abbandonarsi nell’immaginario energico e nel rituale catartico di un concerto rock in piena regola. E la rocker in lei può prendere definitivamente il sopravvento, con conseguenze imprevedibili e dirompenti.
Concedendosi acrobazie degne del David Lee Roth dei tempi andati, il folletto canadese rimbalza da un lato all’altro del palco, arrampicandosi sulle casse della batteria per lanciare il suo sboccato urlo di battaglia. Cambia abito ogni cinque minuti, mantenendo una spiccata predilezione per mantelline, shorts e tubini color fucsia, stile peep show anni ’70. Sfreccia sul palco in bicicletta da cross; introduce in scena un “membro” onorario della band, un gigantesco fallo gonfiabile (!); duetta con ognuna delle Herms, che le ruotano attorno come una gang affiatata, coinvolgendole attivamente nello spettacolo e inscenando una singolare premiazione con delle medaglie al valore; incita a più riprese il pubblico, che la segue con entusiasmo nell’osceno balletto di “Shake yer dix” e nelle litanie psycho-sex di “AA XXX”, “Slippery dick” e “Fuck the pain away”.
Qualcuno lamenta il fatto che la nostra eroina si sia depilata le ascelle, rendendo meno trasgressivo il consueto numero dove è solita leccarsele. Ma tant’è, bisogna sapersi accontentare.
In ogni caso si tratta di un ritorno gradito e piacevolmente sorprendente.