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Francesco Bianconi racconta com’è nata “Bruci la città”

Solo pochi giorni fa ci siamo occupati del fenomeno Irene Grandi. Nell’articolo, come un lettore mi ha giustamente fatto notare, mancava un’importante nota di rilievo, citare Francesco Bianconi dei Baustelle (tre l’altro intervistato da noi di Soundsblog quasi un anno fa), l’autore ormai ancor più celebre che pria di “Bruci la città”. Non capita spesso

di aleali
pubblicato 2 Agosto 2007 aggiornato 1 Settembre 2020 01:28

Solo pochi giorni fa ci siamo occupati del fenomeno Irene Grandi. Nell’articolo, come un lettore mi ha giustamente fatto notare, mancava un’importante nota di rilievo, citare Francesco Bianconi dei Baustelle (tre l’altro intervistato da noi di Soundsblog quasi un anno fa), l’autore ormai ancor più celebre che pria di “Bruci la città”. Non capita spesso che si attribuisca il merito del successo di un brano anche (e soprattutto) al suo autore, ma l’impronta follemente geniale del pezzo non poteva che meritare tantissime rimarcate notificazioni. Molti di voi si sono chiesti in questi mesi come sia nata questa collaborazione, e Rolling Stone di agosto ci ha risposto prontamente con un articolo scritto di pugno da Francesco Bianconi. Scopriremo insieme cose veramente interessanti sulla costruzione del brano.

Tutto nasce dalla volontà di Francesco di fare l’autore. Questo invito lo riporta a Carlo U. Rossi, uno dei produttori artistici più importanti del panorama italiano. Alcuni mesi dopo viene contattato dalla manager di Irene Grandi, Francesca Stendardi, chiedendogli se avesse voluto scrivere un pezzo per la cantante fiorentina. E qui inizia il momento topico successivo alla “chiamata” che riporto per intero:

“Pensiero A: bene. Pensiero B: grande Carlo! Poi, riflessione più elaborata: Irene Grandi… Scrivo? Scrivo. Consegno una settimana dopo un cd con quattro pezzi: Bruci la città, Johnny diceva, Poeti siete morti, Ciao.”


Dopo la scelta del pezzo da parte di Irene, Francesco Bianconi inizia a scrivere le musiche, “con la Motown e Phil Spector in testa”. Poco tempo dopo, l’incontro con Irene Grandi:

“Emozione. Ho dei baffi alla Lee Hazlewood, camicia e pantaloni di jeans, sgangherati mocassini verdi. Irene è molto carina, mi mette a mio agio. Delle mie scarpe dice: belle, molto Tom Waits. Emana energia, irradia una specie di pulviscolo scintillante. Un pulviscolo soul. “Ci piacerebbe andare a Sanremo con “Bruci la città”, che ne pensi?”, mi chiede Francesca. Una mosca s’infila dritto nella mia bocca, molto aperta per lo stupore.”

Insomma, questa canzone doveva essere presentata a Sanremo e credo che pochissimi fino ad oggi lo sapessero. Ad ogni modo, la voce di Irene applicata al brano colpisce nel profondo Francesco, ma qualche piccola correzione era dovuta. Secondo alcuni i toni della canzone potevano evocare l’atto terroristico dell’11 settembre. La necessità che nel complesso la canzone risultasse più soul ha portato all’eliminazione del “che crepi” con un più addolcito “svanisca”. Ma il leccare, no. La “blanda allusione al sesso orale” rimane. Purtroppo la canzone non viene scelta per Sanremo e nonostante il dispiacere iniziale, oggi Francesco ritiene che “forse sia andata meglio così”.

Una storia di passione, di lavoro artistico vero che nasce da una collaborazione felice. Mi piace pensare possa ripetersi anche in altri inediti futuri, chissà. Francesco Bianconi ha trovato in Irene Grandi un coagulo eterogeneo di “amore-istinto animale-passione-voglia di vivere”, ma soprattutto uno spiraglio per un futuro della musica italiana fatto di minori banalità e più voci autorali di moderno spessore.

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