Home Notizie Contrassegni Siae: una guerra eterna, nonostante le sentenze dei tribunali

Contrassegni Siae: una guerra eterna, nonostante le sentenze dei tribunali

Nonostante la recente decisione della Commissione Tributaria, la situazione sui ‘bollini’ resta nebulosa

pubblicato 2 Luglio 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 06:51

“I don’t know anything about stickers, man…what the fuck”: così rispose Phil Anselmo (Pantera, Down) ad una domanda del collega ‘metallaro’ di Soundsblog Paolo Bianco, in merito all’applicazione del contrassegno Siae sulla copertina del loro ultimo lavoro “Down IV”, che rovinava decisamente l’immagine.

Al di là delle battute però la questione sui contrassegni Siae è ancora aperta, anzi, spalancata, nonostante le ultime decisioni della Commissione Tributaria, che ha sancito come legittime le richieste di restituzione della ‘tassa sui bollini’ della Società Italiana degli Autori ed Editori. Ne parlava questa mattina Guido Scorza sul suo blog su IlFattoQuotidiano.

La norma

La Legge sul diritto d’autore (n. 633/1941) stabilisce in base all’art. 181 bis che

su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni supporto (CD, cassette audio e video, CD Rom, DVD, ecc.) contenente suoni, voci o immagini in movimento che reca la fissazione di opere o di parti di opere protette dalla legge sul diritto d’autore (art. 1, primo comma, legge n.633/1941) destinati al commercio o che vengano ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro deve essere apposto un contrassegno

Sul sito della Siae sono elencate le sanzioni per i trasgressori e le eccezioni.

Bollino…o tassa?

Tutto è iniziato nel 2007, con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che stabiliva che la norma che impone l’obbligo di apposizione del contrassegno non è lecita. Ecco uno stralcio della sentenza (qui la versione completa):

“l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituiscono una regola tecnica che, qualora non sia stata notificata alla Commissione, non può essere fatta valere nei confronti di un privato”

Seguiva nel 2008, sul caso specifico, una sentenza della Cassazione che annullava tutte le sentenze precedenti in base a questo pronunciamento UE.

Si è trattato senza dubbio di un importante precedente, che avrebbe dato il via ad un’imponente opera di restituzione di tutti i fondi versati fino a quel momento.

Ma nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 6 aprile 2009 venne pubblicato il (criticatissimo) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009 n.31 (aka “Salva Siae”) che stabiliva

“l’obbligatorietà del contrassegno Siae da apporre sui supporti fono-videografici, multimediali e su quelli contenenti programmi per elaboratore, come previsto dall’articolo 181bis della legge sul diritto d’autore n.633/41. Nel Decreto, che reca il Regolamento esecutivo, si stabiliscono le caratteristiche del contrassegno da apporre sui supporti, le modalità di confezionamento, le modalità di rilascio da parte della Siae e, in casi particolari, la possibilità di sostituirlo con una dichiarazione identificativa. Il Regolamento contenuto nel Decreto, conclude la vicenda aperta nel 2008 a seguito di una sentenza della Corte europea, che definiva il contrassegno Siae una ‘regola tecnica’ che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere comunicata in via amministrativa dallo Stato Italiano all’Unione Europea, notifica avvenuta nell’aprile 2008”

Quindi, come faceva notare lo stesso Scorza, il ‘balzello’ era stato ripristinato direttamente dallo Stato. Non senza polemiche, soprattutto paragonando l’operato italiano alla situazione europea. Inoltre, secondo quanto previsto dal decreto, le somme versate non dovevano essere restituite.

Di contrassegni Siae si è continuato a discutere, a suon di carte bollate, fino al 26 gennaio 2011: la Corte di Cassazione ha evidenziato (con la sentenza 1780 del 2011) come il famoso adesivo argentato – anzi, i costi da sostenere per acquistarlo e applicarlo sui supporti – siano in realtà una tassa. Ecco uno stralcio della sentenza:

La natura tributaria del contrassegno Siae- restando comunque irrilevante il nomen iuris attribuito dal legislatore alla prestazione patrimoniale imposta – comporta, alla luce della nuova formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, l’attribuzione delle controversie relative alla giurisdizione del giudice tributario, alla quale, infatti, appartengono tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati.

Il 2 febbraio del 2012 poi i giudici del Consiglio di Stato hanno stabilito come illegittima la non restituzione delle somme versate – prevista dal decreto del 2009 -, e i giudici della Commissione Tributaria, chiamati a pronunciarsi in merito qualche giorno fa, si sono allineati sulla stessa direttiva.

Quindi gli imprenditori che hanno versato milioni di euro alla Siae possono richiedere di diritto la restituzione dei fondi. Partita finita in via definitiva?

Questa volta c’è da dire che ci sono molti elementi in più a favore, ma visti i precedenti si sente già il profumo del vecchio andazzo tutto italiano “fatta la legge…”.

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