Home Notizie 22 maggio 2018, un anno dopo l’attentato a Manchester al concerto di Ariana Grande: il ricordo dei testimoni

22 maggio 2018, un anno dopo l’attentato a Manchester al concerto di Ariana Grande: il ricordo dei testimoni

Era il 22 maggio 2017. Al termine del concerto di Ariana Grande, l’attentato che costò la vita a 22 persone. Ecco il ricordo di chi, quella sera, era al Manchester Arena.

pubblicato 22 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 21:31

Era il 22 maggio 2017 quando avvenne l’attentato al Manchester Arena. Il pubblico si era radunato per assistere al concerto di Ariana Grande. Al termine del live, alle 22.31 circa, vi fu l’esplosione che provocò 23 morti (incluso l’attentatore) e 250 feriti. Le persone stavano abbandonando l’edificio e l’attentatore si fece esplodere nei pressi della biglietteria, scatenando il panico e il caos totale. Un anno dopo, ecco il ricordo di alcuni testimoni, presenti al Dangerous Woman Tour di Ariana Grande, come riportato da BBCNews.

Daren Buckley era al Manchester Arena insieme al figlio quando vi fu l’esplosione. Si trovavano a nemmeno una decina di metri di distanza dall’assassino. Stavano andandosene quando il boato ha fatto cadere a terra entrambi e, al rumore, seguirono urla confusione generale.

“Abbiamo visto un grande sbuffo di fumo e un bagliore che ci ha respinto: pensavamo che l’edificio stesse per crollare, non potevo sentire nulla, era come se ci fosse l’acqua nelle mie orecchie. Ho portato mio figlio in un posto sicuro con un altro ragazzo e gli ho detto di rimanere lì, che dovevo andare ad aiutare gli altri. Fu allora che iniziarono le urla: le scene nell’atrio non posso descriverle: era come un incubo, pensavo che qualcuno mi avrebbe toccato sulla spalla, dicendomi che era un brutto sogno”.

Il signor Buckley aveva una preparazione per l’intervento di primo soccorso di base e si è unito a una manciata di persone per aiutare i feriti. “Mi sono guardato intorno, alcune persone si muovevano, altre no, stavo parlando con persone che sembravano stare bene, cercavo solo di rassicurarli, era solo un istinto umano” ricorda. Solo di recente, mr Buckley ha fatto ritorno nel centro di Manchester ma è lontano dal gestire quella terribile esperienza:

Se sento le sirene, inizio a pensare ‘Devo andare ad aiutare qualcun altro?’. Mi sento come se fossi ancora in modalità adrenalinica. È strano perché non ho mai avuto paura di nulla, ho dei continui flashback. Devo essere morto 200 volte nei miei incubi

Alistair Rennie, consulente di medicina d’urgenza, ha coordinato la risposta all’attacco al Manchester Royal Infirmary e al Royal Manchester Children’s Hospital. Dal suo arrivo, ha lavorato per 24 ore senza dormire, gestendo chirurghi, collaborando con la polizia e il servizio di ambulanze.

“Ci alleniamo tutti per questo. Puoi immaginare di avere un brutto incidente d’autobus o un incidente ferroviario da affrontare. In questa occasione, ciò che è stato ancora più emotivo è che questo era stato completamente pianificato. C’era una questione emotiva da affrontare: stai curando persone che sono state prese volutamente di mira”

Ha ammesso che è stato “molto difficile” per alcuni membri dello staff venire a patti con l’attentato.

“Siamo tutti umani, alcuni sono stati gravemente colpiti, in particolare alcuni di quelli che hanno soccorso i bambini”

Tornando a casa dai suoi figli piccoli, il dott. Rennie ha detto di essere rimasto “pienamente consapevole” della perdita e delle sofferenze che le famiglie avevano subito.

“Era uno di quei momenti in cui pensavo ‘Mio Dio, cosa stanno passando gli altri?'”

Mark Robinson era andato al concerto di Leeds con la sua compagna Eli e le sue due figlie. Si trovava a circa 7 metri di distanza dall’attentatore.

“La vera esplosione, il tuo cervello non può elaborare abbastanza velocemente quello che è successo. Pensi di essere in un sogno, di certo non sei allenato per quello che vedi. (…) Mi sento in colpa per aver portato Eli e le sue ragazze lì. Perché è accaduto in quel concerto?”

Da allora, dopo essersi curato per le ferite riportate (ferite da schegge e un timpano perforato) il suo rapporto con la vita, con il quotidiano, è cambiato, fin dalle piccole cose:

La vita è così preziosa e può essere portata via in un istante. A spasso il cane, ad ascoltare il canto degli uccelli, a sentire la pioggia sul tuo viso. Cose semplici che apprezzi. Sono così così grato di avere ancora le gambe e le braccia, sono stato in grado di tornare al lavoro e andare avanti”.

Janet Sherret, invece, era al concerto con sua figlia dodicenne. Si è unita a un gruppo di supporto online per i sopravvissuti all’attentato: “Vivendo in Scozia, ci siamo sentiti in qualche modo esclusi perché ovviamente c’era il gruppo di supporto del Manchester Resilience Hub”.

Ha ammesso che l’impatto emotivo è stato sempre presente, costante: “Resterà per sempre”.

“Pone un punto di svolta diverso ovunque tu vada, dove c’è una grande folla sei in allerta. Questo è il motivo per cui c’è stata una perdita dell’innocenza di mia figlia, non ha mai pensato in questo modo, era sempre stata spensierata”

Essere stata al Manchester Arena insieme alla figlia in quello che doveva essere una serata serena e divertente, è difficile da gestire:

“Hai questo senso di colpa di aver portato tua figlia in un luogo che pensavi essere sicuro. A questo si aggiunge anche il senso di colpa di essere un sopravvissuto…”

Una situazione simile a quella vissuta da Lyndsay Turner, anche lei mamma. Quella sera aveva deciso di affittare una limousine per permettere ai due figli di andare al concerto, in perfetta sicurezza e comodità. Inizialmente aveva programmato di andare con loro, ma era in attesa di un intervento chirurgico, quindi ha dato il biglietto a sua cognata, che ha partecipato con la madre di Lyndsay.

Erano le 22,30 circa, Lynday era al telefono con suo figlio Ciaran Danson, allora 13enne.

“Ho sentito il botto e ho detto ‘Ciaran, che succedè?’ e ho potuto sentire il panico nella sua voce. Poi il telefono si è spento”.

Solo 45 minuti dopo, la donna riuscì a far suonare nuovamente il cellulare.

Oggi ammette, ancora provata:

“Il fatto che ho comprato i biglietti, che li messi in pericolo… vivrà sempre con me”

Entrambi i bambini hanno suvbìto un grave stress post-traumatico. Tegan, ora 12enne, ha trascorso un po’ di tempo in ospedale e Ciaran sta ancora gestendo le conseguenze; ha dei flashback, non riesce a dormire e ha allucinazioni “molto spaventose” sull’attentatore:

“All’inizio era solo una sfocatura, ora è reale quanto te o me.”

La donna ha dichiarato: “Una parte dei miei figli è morta quella notte”. Ciaran dice, per primo lui, di essere cambiato:

“Prima ero vivace e felice, cantavo e recitavo sempre… ora mi sento depresso, non voglio uscire di casa”.

Via | BBC

Notizie