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Amici 18, i ragazzi incontrano Gianpietro Ghidini, padre di Emanuele, morto annegato a causa della droga

Gianpietro Ghidini ha raccontato la propria storia ai ragazzi di Amici.

pubblicato 21 Marzo 2019 aggiornato 27 Agosto 2020 14:32

Durante la striscia pomeridiana odierna di Amici 18, andata in onda su Real Time, i cantanti e i ballerini hanno avuto l’opportunità di conoscere Gianpietro Ghidini, il fondatore dell’associazione a supporto dei giovani, Pesciolino Rosso.

Autore dei libri Lasciami volare ed Era tutto perfetto, Gianpietro Ghidini era padre di Emanuele, ragazzo morto annegato a soli 16 anni, nel 2013, dopo aver provato l’LSD. Dopo l’assunzione della droga, Emanuele cadde in uno stato di profonda angoscia che lo portò ad uccidersi.

Gianpietro Ghidini ha esordito, raccontando il significato del nome dell’associazione, Pesciolino Rosso:

Sono qui per raccontarvi una storia, sono il papà di Emanuele, un ragazzo come voi, oggi avrebbe 22 anni. Era del segno dell’Acquario, amava i pesciolini rossi e noi ora abbiamo un’associazione chiamata Pesciolino Rosso. Quando lui aveva 6 anni, avevamo uno stagno con i pesciolini rossi. Un giorno, lui mi chiamò perché un pesciolino rosso stava morendo e io gli suggerii di liberarlo nel fiume. Il pesciolino riprese a nuotare ma poi arrivò un’anatra! Lui si mise a piangere e ricevette un insegnamento dalla vita: l’esistenza del dolore e della sofferenza. Dieci anni dopo, l’ho ricevuta io questa lezione.

Ghidini, quindi, ha pregato i ragazzi di Amici di non farsi mai tentare dall’utilizzo di questo tipo di droghe:

Mi ritrovai in piedi su quel fiume alle 3 di notte: Emanuele, la sera prima, andò ad una festa dove girò di tutto: alcol, marijuana e LSD. Emanuele provò quella schifezza e iniziò a stare male: mentalmente, urlava che voleva uccidersi. Così, i suoi amici lo accompagnarono a casa. Emanuele, a casa, prese un manubrio di 10 kg e se lo diede in testa, urlando che non provava dolore. Pensateci bene prima di provare questa roba.

Proseguendo col racconto, Gianpietro Ghidini ha dichiarato di vivere con il rimpianto di non aver fatto il possibile per salvare Emanuele dall’inquietudine che lo stava tormentando:

Così, Emanuele, appena vide l’acqua, iniziò a correre, urlando sempre che voleva uccidersi. Si tuffò di testa e sparì per sempre. Immaginate quale fu il mio pensiero quando mi chiamarono: volevo buttarmi anch’io. Quel giorno, Emanuele era più serio del solito, era più cupo: dovevo parlarci, forse avevo l’occasione per salvarlo ma avevo un appuntamento urgente. Gli dissi ‘Ci sentiamo domani’. Dieci ore dopo, trovarono Emanuele annegato.

Per Ghidini, la rincorsa al successo e alla realizzazione personale hanno finito per allontanarlo dai suoi affetti:

Ogni volta che ci facciamo attrarre dal successo fine a se stesso, veniamo messi in una centrifuga. Io ero diventato vittima di quel successo. Il successo è diventata la mia dipendenza. Il successo, lo interpretiamo come punto di arrivo. Io credo che dobbiamo fare ogni giorno del nostro meglio, poi quello che accadrà, accadrà. La vita è viaggio.

L’obiettivo di Ghidini, quindi, è quello di salvare la vita ad altri giovani come suo figlio e ad insegnare ad altri genitori quello che lui, purtroppo, non è riuscito a fare:

Da quando è morto Emanuele, se non abbraccio almeno 100 persone al giorno non sono contento. Dopo 2 giorni, successe qualcosa di straordinario: feci un sogno, sognai che stavo salvando Emanuele dall’acqua. In realtà, era lui che stava salvando me e ho avuto tutto più chiaro. Se non sono riuscito a salvare mio figlio, dovevo provare a salvare altri figli. Ho capito che c’era un disegno più grande. La mia sfida è raccontare a tutti i genitori i miei errori.

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