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Opeth all’Alcatraz: foto-report dal concerto di Milano, Novembre 2016

Gli Opeth accontentano i fan con un’ottima scaletta – ma sarà tutto oro quel che luccica? Scopri com’è andato il concerto di Milano

pubblicato 23 Novembre 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 12:00

E’ sempre un onore ed un piacere, qui a Soundsblog, far recensire un concerto degli Opeth ad Eugenio Crippa, uno dei massimi conoscitori della band svedese – per i più distratti, Eugenio ha anche scritto un libro, sugli Opeth. Passiamo quindi la parola a lui, per sentire com’è andato il concerto all’Alcatraz del 14 Novembre.

Ci fu un periodo, durato diversi anni, in cui degli Opeth era praticamente impossibile sentirne parlare male, dai loro esordi fino all’accoppiata “Deliverance” / “Damnation” all’incirca; oggi, tra i loro ascoltatori, un’altissima percentuale appartiene alla cosiddetta categoria del ‘sì, mi piacciono fino al disco x’, dove alla variabile va sostituito un valore che raramente coincide con uno degli ultimi 3-4 titoli pubblicati dagli svedesi. Il motivo? E’ presto detto: se già quindici anni fa la co-produzione di “Blackwater Park” da parte di Steven Wilson fu evento fondamentale per chi oggi considera gli Opeth ancora succubi della creatività del ‘porcospino’ inglese, il passaggio alla Roadrunner nel 2005 fu da molti etichettato come ‘commerciale’, e il trittico finale ‘growl-free’ di “Heritage” / “Pale Communion” / “Sorceress”, insieme a vari cambi di formazione, ha rappresentato per il gruppo la definitiva discesa nel baratro.

Eppure, la premiata ditta Mikael Åkerfeldt & co. è ancora tra noi, e tra le altre cose ha da poco suonato, accompagnata dagli Anathema, in una Wembley Arena londinese gremita di spettatori, mentre nel precedente tour nordamericano ha fatto visita nientemeno che allo storico Radio City Music Hall di New York. Niente male per una band alla canna del gas, nevvero? Anche se, a onor del vero, va detto che almeno in Italia gli Opeth vanno progressivamente perdendo ascoltatori, peraltro in maniera paradossale. Nel 2011, all’epoca della pubblicazione del controverso “Heritage”, festeggiarono in compagnia dei Pain of Salvation di fronte a un Alcatraz meneghino completamente sold out, proponendo una scaletta che fece imbestialire i fan più intransigenti; oggi, nel medesimo locale, ci si ritrova davanti a un pubblico praticamente dimezzato, nonostante la band sia tornata a proporre a furor di popolo quei brani ‘progressive death’ che ne hanno in passato definito il sound.

Ad accompagnare gli Opeth sono stati chiamati praticamente a sorpresa, pochi giorni prima dell’inizio del tour europeo, i norvegesi Sahg, un quartetto che nel suo tingere l’hard rock di sonorità doom, space e talvolta progressive, è comunque riuscito a delineare dei tratti stilistici personali e perfettamente distinguibili da quelli di un’infinità di colleghi, magari anche molto più famosi. Cinque album all’attivo – di cui vi consigliamo in particolare il penultimo “Delusions of Grandeur” – e siamo praticamente certi che sotto il palco dell’Alcatraz praticamente quasi nessuno già li conoscesse. Meriterebbero un riscontro ben più considerevole, ma ci piace pensare che il poter suonare di fronte a svariate centinaia di persone ogni sera li abbia portati ad allargare notevolmente, nonché meritatamente, la propria fanbase.

E del concerto degli Opeth, ne vogliamo parlare finalmente? Ottimi i giochi di luce dell’impianto che si portano dietro (molto meno le immagini dell’artwork di “Sorceress” spezzettate in piccoli quadratini isolati, c’è da chiedersi chi sia il responsabile di questa assurdità), ottimi i suoni, ottima la band che macina riff e melodie con un affiatamento e una precisione sensazionali; un po’ meno ottimo, va detto, il growl di Åkerfeldt, che invece in ‘modalità clean’ è come sempre ispirato e convincente in toto. “Musica, detesto chiamarlo il mio lavoro” ha dichiarato di recente in un’intervista; e così, mentre in studio il gruppo è libero da qualsiasi tipo di vincolo, dal vivo Mikael ha deciso – da tempo, ormai – di voler accontentare un po’ tutti: due soli sono gli estratti dall’ultimo album (la title-track “Sorceress” e “The Wilde Flowers”) mentre il resto è un piacevole viaggio a ritroso verso capitoli discografici neanche troppo recenti. A fine serata si respira dunque un’aria di serenità e soddisfazione, ed è palpabile la sensazione che i presenti ne siano usciti con la piena convinzione di aver assistito a un grande concerto. Ma in tutto questo è difficile non pensare che, alla fine, il più insoddisfatto fra tutti sia proprio il mattatore dello show, quell’Åkerfeldt che probabilmente, in cuor suo, tra una ennesima citazione del Paese dei Balocchi e di Eros Ramazzotti, preferirebbe di gran lunga riservare molto più spazio in concerto ai brani del nuovo corso della sua creatura.

Setlist Sahg:
Hollow Mountain
Firechild
Sanctimony
Black Unicorn
Pyromancer
Blood of Oceans

Setlist Opeth:
Sorceress
Ghost of Perdition
Demon of the Fall
The Wilde Flowers
Face of Melinda
In My Time of Need
Cusp of Eternity
The Drapery Falls
Heir Apparent
The Grand Conjuration
Deliverance (Encore)