Home The Darkness a Milano: foto-report dal concerto all’Alcatraz, 24 Gennaio 2016

The Darkness a Milano: foto-report dal concerto all’Alcatraz, 24 Gennaio 2016

Justin Hawkins si conferma un grande frontman, ma di una band con poca voce e poca pompa: cronaca di una serata iniziata male e proseguita così così…

pubblicato 25 Gennaio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 21:40

Cosa vuoi dire, ai The Darkness del 2016?
Hanno ottenuto TUTTO al debutto, nel 2003. Entro tre anni si erano già sciolti, ma in quei tre anni erano stati chiamati “eredi dei Queen” e cose del genere. Ci hanno fatto divertire e sognare. E continuano a farlo, almeno per i nostalgici: i Darkness sono tornati da qualche anno, hanno registrato un paio di dischi in cui la massima ambizione dell’ascoltatore è “sperare che ci siano un paio di pezzi buoni”, ma ancora riescono a riempire i club di medie dimensioni.

A dirla tutta, riempire il Palco A dell’Alcatraz questa sera non è stato facilissimo: e non per colpa della rock band inglese, che in prevendita aveva mandato quasi soldout il locale, ma per colpa del terrorismo e dei relativi controlli. L’Alcatraz è ancora oggi presidiato dalle forze dell’ordine, dopo le minacce ricevute (mai confermate, a dire il vero) in seguito agli attentati al Bataclan di Parigi lo scorso Novembre, ma se ai concerti di Novembre/Dicembre i controlli sono filati lisci, questa sera qualcosa si è intoppato, e la fila per entrare si è allungata a dismisura, prendendo tutto l’isolato e lasciando la gente al gelo per un’ora abbondante, mentre ognuno veniva perquisito. I River 68’s, band di supporto, hanno suonato davanti a quattro gatti (io ero ancora in coda, pur essendo arrivato 20 minuti prima dell’inizio dello show), e soprattutto alle 21.00, ora prevista per l’inizio dei Darkness, l’Alcatraz era ancora desolantemente pieno per 1/3, con l’assurda situazione che la gente fuori era nervosa perchè pensava di star perdendo il concerto, e la gente dentro urlava e fischiava sempre più spazientita per il ritardo. Alla ine si è iniziato alle 21.40 davanti ad un Alcatraz finalmente pieno (ma con ancora gente in coda), niente di grave, ma il clima festaiolo si era un po’ congelato.

I Darkness arrivano sul palco fra gli applausi, e decidono di iniziare il set promuovendo il nuovo disco: si parte con Barbarian, suonata un po’ moscia, cantata con una voce ancora da scaldare e con nessuno del pubblico a cantare i cori. E’ stato come iniziare un bel concerto rock con un calcio nelle palle, tanto per gradire.
La rotta si aggiusta subito con Growing On Me e Black Shuck, canzoni più interessanti per il pubblico, che si scalda insieme alla voce di Justin Hawkins.
Justin, fra un brano e l’altro, porge anche delle esilaranti scuse per il ritardo, che vi traduciamo a memoria:
“Mi scuso se il concerto è iniziato tardi, è che non si era mai visto un raduno di talmente tante persone bellissime… i vicini han visto la fila e han chiamato la polizia pensando ci fosse un raduno clandestino di fotomodelli e fotomodelle. Mi son sentito in colpa a iniziare il concerto ora, con ancora un po’ di gente fuori, abbiamo aspettato un po’ ma poi mi son detto “fancul0, la prossima volta arrivate prima”. E poi mi sentivo in colpa per chi era dentro e fischiava perchè eravamo in ritardo e magari avrebbe perso il treno per tornare a casa se il concerto finirà tardi… beh fancul0 anche voi, andrete a casa a piedi! Per farci perdonare di questo casino, suoneremo anche più a lungo!”
Non fa una piega, in puro stile humor inglese, humor di cui Justin è dotato a palate, dimostrandosi un grande intrattenitore, un frontman che non si limita a dire le stesse due frasi ogni sera, ma che cerca il dialogo con il pubblico, come quando poi dice “Alcatraz, sei un mistero: a volte fai un casino allucinante, a volte sei silenzioso come una tomba. Non so perchè ora siete zitti… capite quel che dico? Comunque io preferisco quando fate casino, dai fate casino!”.

Insomma: grande frontman. Grande band: il fratello Daniel fa sempre il suo dovere con gli assoli e Frankie Poullain è sempre uno spettacolo vintage, ed il nuovo arrivato Rufus Taylor è un batterista con pedigree comprovato.
Quel che manca è “la pompa”. Sì, non sarà un termine tecnico, ma è forse quello che descrive meglio la situazione: i Darkness, questa sera, sono spompati. Spompati dalle nuove canzoni, che non sono niente di che, e al contempo spompati dal cercare di dare nuova linfa a brani che hanno suonato mille volte, gli unici brani che la gente vuole sentire, che sono anche brani ai quali la voce di Justin non riesce più a fare giustizia.

Rimane il divertimento. Sì, i Darkness del 2016 sono ancora divertenti da vedere. Ma sarà per il mega-inconveniente delle code all’ingresso, sarà per il gelo esterno, sarà quel che sarà, ma “il rock” questa sera latitava un po’, con un palco aiutato solamente da un frontman immenso a livello di intrattenimento visivo (Justin ha trovato anche il tempo per rubare una macchina fotografica e scattare foto nelle sue mutande, davanti e dietro). Nel 2004 erano i nuovi Queen, ora dei Queen hanno il figlio del batterista, ma poco altro. Eppure, riempiono i locali, quindi cosa vuoi dire ai The Darkness del 2016?