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Amen, la recensione del nuovo album dei Baustelle

Fughiamo subito ogni dubbio: Amen, quarto disco dei Baustelle, è un bel disco che vale assolutamente la pena ascoltare. Contiene delle belle canzoni che vi faranno compagnia a lungo, ritornelli da cantare a squarciagola, schitarrate rock e, marchio di fabbrica del gruppo, testi intelligenti che raramente scadono nell’intellettualismo.E’ un album maturo, indubbiamente. Forse certe ingenuità

pubblicato 13 Febbraio 2008 aggiornato 31 Agosto 2020 23:07

Fughiamo subito ogni dubbio: Amen, quarto disco dei Baustelle, è un bel disco che vale assolutamente la pena ascoltare. Contiene delle belle canzoni che vi faranno compagnia a lungo, ritornelli da cantare a squarciagola, schitarrate rock e, marchio di fabbrica del gruppo, testi intelligenti che raramente scadono nell’intellettualismo.

E’ un album maturo, indubbiamente. Forse certe ingenuità se le vogliono portare dietro come eterni Peter Pan, fa parte del loro stile, ma il disco supera abbondantemente la sufficienza. Il sussidiario illustrato della giovinezza ormai prende polvere in cantina, i protagonosti sono cresciuti, ora è tempo di parlare di liberismo, futuro, speranze infrante, giovinezze perdute o vite sprecate.

Peccato solo che non sia l’album perfetto che molti si aspettavano. Ci sono canzoni bellissime come Il Liberismo Ha I Giorni Contati (anche se con quel ritornello – un po’ paraculo, diciamolo – che ti entra in testa al secondo ascolto, è chiaramente scritta per essere il prossimo singolo).

C’è la critica all’american way of life di Colombo, il malinconico lamento di L’aeroplano, dove la voce di Rachele si chiede “che cosa resta di noi […] il futuro era una nave tutta d’oro che noi pregavamo ci portasse via lontano”. Ci sono le chitarre di Antropophagus, con il suo sorprendente finale disco, e di L’uomo Del Secolo. E c’è la toccante Alfredo, un brano dedicato ad povero Alfredino Rampi capace di commuovere fino alle lacrime.

Lo strumentale Ethiopia e la tragicomica Spaghetti Western chiudono il mazzo delle canzoni che da sole valgono il disco. Quello che proprio non riesco a capire sono brani come Panico!, Baudelaire (non basta citare Pasolini per farsi intellettuali), o Dark Room che sarà anche magistralmente arrangiata, ma proprio non mi dice nulla. Su Charlie Fa Surf, una delle poche incursioni adolescenziali dell’album, invece abbiamo già detto tutto.

Se i testi sono maturati, la musica è migliorata in modo impressionante. Non fanno più fatica a mettere insieme strofe e ritornelli ma, sacrificando un poco l’attitudine alternativa, si lasciano andare con leggerezza a melodie su cui probabilmente saranno ferocemente criticati da qualche purista. Manca ancora un senso di insieme dell’album, un peccato che però – ripeto – si perdona facilmente. E’ un disco consigliato, fidatevi. Ma ci piacerebbe sapere cosa ne pensate voi. Vi è piaciuto? I commenti sono tutti vostri.

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