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Mark Ronson: “Quando una canzone racconta una storia è molto più interessante”

Reduce dal successo di “Uptown Funk” feat. Bruno Mars, Mark Ronson ha incontrato la stampa italiana

pubblicato 11 Marzo 2015 aggiornato 29 Agosto 2020 07:42

Un disco di platino in Italia (“Uptown Special”) e un singolo (“Uptown Funk” feat Bruno Mars) al numero 1 delle radio da settimane: il successo di Mark Ronson, produttore e cantante londinese, continua inesorabile.

“E’ passato molto tempo da quando ho pubblicato il mio ultimo disco, e sapevo che questo doveva essere il migliore della mia carriera. La musica è cambiata in questi ultimi anni, così come i generi musicali, i produttori e gli stili, ma ho pensato che se nel 2015 a qualcuno importava ancora di Mark Ronson doveva essere perchè Mark Ronson fa i dischi più belli”

Un lavoro che tra l’altro vanta collaborazioni illustri, e non solo musicali, come quella con lo scrittore Michael Chabon:

“Ogni canzone in questo disco parla di una storia, quando una canzone racconta una storia è molto più interessante. Quando ho chiesto a Michael di scrivere i testi mi era passata per la testa l’idea di chiedergli di scriverli tutti lui. Poi con Bruno Mars abbiamo scritto ‘Uptown Funk’, che parla di una serata in un locale, e così via. A volte ti arrivano prima le melodie, su cui adatti un testo, a volte prima i testi. Con Michael, quando gli ho chiesto di collaborare, non sapevo se mi avrebbe mandato solo delle idee o dei testi finiti. Quando poi mi ha mandato le prime cose, erano testi veri e propri”

Mark è un produttore ‘dalle mani d’oro’ per così dire, considerati i dischi su cui ha messo le mani, con grandi risultati, in passato: da Amy Winehouse ai Duran Duran, da Adele a Lily Allen e Christina Aguilera. Fare il produttore insomma è la sua prima, vera – e più sentita – occupazione.

“Io come Pharrell sono un produttore che ha avuto successo con i dischi solisti, però lui è proprio un ‘frontman’. Io vedo più come mio primo lavoro fare il produttore dei dischi degli altri, e ogni tanto sviluppo delle mie idee che non potrei sviluppare per altri artisti. In questo momento sono in una fase un po’ particolare: infatti il mio disco è più famoso di alcune cose che ho prodotto. Però continuo ad amare molto il lavoro di produttore. Come nascono le produzioni? E’ una cosa che nasce abbastanza spontanea, sono artisti che incontro e iniziamo a parlare di musica, di solito la collaborazione nasce così. Abbiamo gusti diversi di solito, molto spesso siamo agli opposti. Ogni artista è molto diverso, ma l’importante è che ci sia passione per quello che fanno. Io ad esempio, adesso posso dirlo, amo molto i Kaiser Chiefs però mi rendo conto che il lavoro che ho fatto con loro forse non è il lavoro di produzione che mi è riuscito meglio. Invece questo album è così riuscito perchè fonde r&b, soul e funk che è la musica che conosco meglio. Se voglio lasciare il segno devo andare a riprendere la musica che mi riesce meglio”

L’artista che gli sarebbe piaciuto produrre? Beh, su quello non ci sono dubbi:

“Tra i miei miti musicali c’è Stevie Wonder, che però i dischi se li produceva da solo per cui non avrebbe avuto bisogno di me. Se potessi scegliere mi piacerebbe aver prodotto una canzone di Notorius B.I.G.”

Ma Ronson è stato anche un dj e si può capire l’influenza di quest’altra sua passione da come ne parla. Non è infatti mancata nel racconto del produttore una piccola parentesi sulla scena degli inizi degli anni Novanta a New York:

“Tutti gli artisti ricordano il periodo in cui hanno iniziato come il più bello mai esistito. All’epoca, negli anni Novanta a New York, c’era una scena hip hop che si stava delineando. Ma in questi locali l’underground era davvero eterogeneo, tra modelle, rapper, ma anche spacciatori. Tutta questa gente però veniva lì perchè amava la musica, prima che le serate diventassero più ‘vip’. Di quell’epoca ricordo una grande energia, il piacere di stare lì per la musica, e sono stato fortunato ad averla vissuta. Adesso a NY ci sono dei bei locali, ma la musica non ha più quella importanza. Di quello che successe negli anni Settanta purtroppo ho potuto solo leggerne”

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