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Imagine Dragons, Sanremo 2015 – Intervista

Sanremo 2015, Imagine Dragons ospiti: tutte le loro dichiarazioni alla stampa alla vigilia del Festival.

di grazias
pubblicato 10 Febbraio 2015 aggiornato 29 Agosto 2020 08:55

Gli Imagine Dragons sono i primi ospiti internazionali a calcare il palco dell’Ariston. Questa sera suoneranno infatti dal vivo alla corte di Carlo Conti forti del loro successo ormai planetario. La rock band di Las Vegas ha totalizzato più di seicento milioni di views su Youtube riuscendo a fare numeri da capogiro anche nel campo delle vendite. Trainati dalla hit Demons, i nostri hanno anche vinto un Grammy per il brano Radioactive (ovvero la canzone rock più venduta in digitale nella storia della classifica americana). Il 16 febbraio uscirà il loro nuovo disco, Smoke + Mirrors e ne abbiamo parlato oggi, nel corso dell’incontro con la stampa che si è tenuto proprio qui, nella città del Festival. Qui di seguito trovate tutte le loro dichiarazioni.

Come vi state trovando a Sanremo?

Per noi è davvero un grande onore essere qui. Non potremmo essere più felici e grati. È la prima volta che veniamo a Sanremo e ci piace molto perché è sul mare. Viaggiamo molto per lavoro e non ci capita mai di incontrare persone calde come gli italiani. Del resto, anche mia moglie, proprio come una mia fidanzata dei tempi delle superiori, è italiana: ho scelto bene!

Sapete qualche parola in italiano?
Tendenzialmente solo termini relativi alla musica come fortissimo e mezzoforte, del resto la musica in questo senso l’avete inventata voi!

Dopo il successo di Night Visions, vi siete sentiti sotto pressione mentre lavorate al nuovo album?

Abbiamo scritto il secondo disco mentre eravamo ancora in tour per il primo. Non abbiamo fatto alcun tipo di calcolo né ci siamo sentiti particolarmente sotto pressione. L’unica cosa che ci interessava davvero era di fare un disco onesto. E l’abbiamo fatto. Penso che dimostri un livello di maturità superiore rispetto al precedente. Del resto, siamo giovani. Io ho ventisette anni e suono in questa band da parecchio tempo ormai. Sette anni, credo. Ed è davvero tanto per un gruppo che ha all’attivo un solo disco!

Parlando di Demons,
Tutti hanno i loro demoni. Su internet, poi, sembra che chiunque si senta in diritto di giudicare. La maggior parte della gente che scrive sul web ha la presunzione di capire quello che un’altra persona sta attraversando e quindi di poterla criticare, anche pesantemente. Invece non possiamo sapere quali demoni albergano in chiunque altro, è già difficile scendere a patti coi nostri: secondo me bisognerebbe essere meno presuntuosi, in questo senso.
Un pro e un contro di aver raggiunto il successo…

Un pro e un contro del successo…

Facciamo ciò che era il nostro obiettivo dall’inizio: suonare sul palco, vedere persone, viaggiare per il mondo. Quindi queste cose vanno tutte nella lista dei pro. Per quanto riguarda i contro, beh…credo di non ho più amicizie vere, le ho perse tutte perché non ci sono mai stando in giro a suonare. Inoltre, è davvero difficile capire di chi fidarsi: non sai se le persone ridono alle tue battute perché fanno ridere o perché sei famoso. Ho 27 anni, sono giovane, sono finito in una band di successo. Devo ancora realizzare tutto ciò prima di parlarti sul serio dei pro e dei contro e dirti se il gioco vale la candela. Però, per il momento, credo proprio di sì…

Quali sono le principali fonti di ispirazione per la vostra musica?

Prima di tutto mia mamma! (ride, ndr) No, non è vero. Credo che, come ti dicevo, viaggiare sia una delle cose che più ci piace fare. E quindi anche una delle nostre principali fonti di ispirazione. Abbiamo scritto il secondo disco durante il tour del primo ed è stato tutto molto naturale, ci sono state fasi diversi: ogni tanto scrivevo solo canzoni arrabbiate, in altri periodi invece solo brani sentimentali a seconda di ciò che capitava dalle situazioni che mi capitava di vivere.

Demons, la canzone che vi ha portato al successo mondiale, affronta il tema della depressione. Si tratta di un testo autobiografico?

Personalmente, ho lottato con la depressione per molti anni, è una cosa con cui moltissime persone hanno a che fare. E sarebbe superficiale dire che riguarda solo la tristezza, è qualcosa di più profondo. Siamo una band da sette anni ma suonavamo solo in piccoli club. Non avrei mai creduto che un giorno ci saremmo guadagnati platee così grandi. Mi sentivo molto insicuro. Sono stato un bambino difficile e crescendo la cosa non è certo migliorata dal punto di vista dei miei. Ho sette fratelli e sono tutti avvocati o medici. Io invece volevo fare il musicista e mi battevo per questo lavorando duramente. Ma spesso sembrava che fosse tutto inutile. Gli altri della band non sapevano di questa mia condizione psicologica, non l’hanno saputo per moltissimo tempo. Ma, voglio dire, non è una di quelle cose su cui ti puoi aprire facilmente. Come dire, non ti presenteresti mai dicendo: “Ciao, mi chiamo e soffro di depressione!”.

Come vivete il paragone con i Coldplay?

Beh, i Coldplay sono una grande band, quindi non possiamo che trovare questo paragone molto lusinghiero. In realtà però in America non ci risulta di essere stati accostati a Chris Martin e soci. Forse accade solo qui in Italia. In ogni caso ritengo che sia difficile paragonarci ad altri. Penso che la mia voce sia molto riconoscibile. Ma, a prescindere da questo, non capisco l’ansia di etichettare sempre tutto: dire “loro suonano un po’ come x” oppure “No, secondo me sono tali e quali a y” lascia un po’ il tempo che trova. Poi, per carità, metteteci pure dove preferite.

Cosa vi rende diversi da tutte le altre band, allora?
In realtà non vogliamo essere diversi da niente e nessuno, siamo solo quattro ragazzi che fanno musica e che non vorrebbero fare altro nella vita. Ok, ci vestiamo peggio di tutti gli altri, questo possiamo concedervelo (ride, ndr)

Quali sono le vostre principali influenze musicali?

Troppe. I primi due nomi che mi vengono in mente così a bruciapelo però sono quelli di Cat Stevens e Tom Waits. Quindi non siamo poi così “alternativi” e nemmeno poi troppo “indie”, penserà qualcuno. Ma alla fine cosa vuol dire “alternativo”, cosa vuol dire “indie”? Noi, musicalmente parlando, prendiamo molte cose e le reinterpretiamo a modo nostro.

Allora, se davvero vale tutto, a quando il vostro primo pezzo dance?

(Ride, ndr) Alcuni pezzi sono perfetti per i club, ma non riuscirei mai a scriverli. Proprio perché per me è importante la scrittura dei testi, ci metto molto se non tutto di quello che sono davvero. Scrivere per me è molto difficile ma, in un certo senso, altrettanto terapeutico.

Meglio le etichette indipendenti o le major?

È una domanda molto difficile anche perché non ci sono risposte certe. Alcuni artisti dovrebbero restare indipendenti, altri no. Prima di firmare con la Interscope abbiamo detto no almeno quattro volte ad altre major. L’abbiamo fatto perché, a nostro avviso, quello non era il momento giusto per noi. Ma queste sono valutazioni da fare a livello strettamente personale. Si fa presto a dire: “Se sei “piccolo”, non firmare con una major, sarà la tua rovina!”. Ma a volte così non è quindi davvero non saprei come rispondere: non è una scienza esatta…

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