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Entics Television – Vol. 3: “E’ un ritorno al suono del passato, ma è un disco proiettato al futuro”

La nostra chiacchierata con Mr. Entics sul nuovo lavoro in uscita

pubblicato 13 Giugno 2014 aggiornato 29 Agosto 2020 17:44

Cristiano Zuncheddu, in arte Entics, torna con “Entics Television – Vol. 3”, il suo terzo disco che arriva dopo “Soundboy” e “Carpe Diem”. Anticipato dal singolo “Karaoke” si tratta di un nuovo progetto discografico, che vuole essere un ritorno alla musica delle origini. Per rappresentarlo insomma “al 100%”.

“Entics Television – Vol. 3” uscirà il prossimo 17 giugno, ma intanto ci siamo fatti raccontare qualcosa di più…

Il titolo del tuo nuovo lavoro arriva da “Entics Tv”, il programma in streaming che conduci insieme a Chaka Nano e Becco, ma anche dai tuoi primi dischi. Una specie di ritorno al passato?

I miei primi dischi erano contraddistinti da sonorità molto giamaicane, e questo album, che ho curato insieme a Dj Nais anche dal punto di vista musicale delle produzioni, è stato concepito su quella direzione di suoni. E’ sicuramente un ritorno al suono del passato pur essendo dal punto di vista dei testi e delle tematiche più proiettato verso il futuro.

In che senso hai voluto che questo disco ti rappresentasse al 100%? E, ti senti rappresentato al 100%?

Sì perchè sono riuscito a curarne l’aspetto musicale con i miei arrangiamenti: tante volte nei dischi precedenti succedeva che le parti strumentali fossero dei ‘collage’ di produzioni, senza un briefing di partenza. Questa volta invece siamo partiti da zero, con un’idea, un progetto di sonorità e l’abbiamo portato a termine. Quindi il mio ‘100%’ è il coinvolgimento totale che ho avuto sia nella parte strumentale che nei testi.

“Entics Television – Vol. 3” è stato anticipato dal singolo “Karaoke”: come nasce questo brano e perchè lo hai scelto?

E’ un’analogia del mio percorso nell’ambiente della musica: rappresenta quanto importanti possano essere per gli artisti le parole che scrivono, a livello soggettivo, e quanto possano essere sfuggevoli come le parole di un karaoke per chi le ascolta in modo superficiale.

I tuoi lavori sono sempre stati autoprodotti. Poi hai lasciato la Tempi Duri Records, come mai questa decisione?

La Tempi Duri è un’etichetta molto ‘etichettata’, scusa il gioco di parole, come ‘etichetta hip hop’. Ma io sto cercando di fare una campagna su di me, e chiedo di non classificarmi più come rapper, anche perchè se quella del rap, dell’hip hop, è la scena che mi ha accolto, io in realtà sono un po’ atipico come rapper. Non sono un rapper, mi interessa molto di più dare melodie, armonie…cercare di creare delle sensazioni non solo con le parole, ma anche con l’accompagnamento armonico. Per questo ho deciso di dare un segnale forte, lasciando la Tempi Duri, per far capire questa mia necessità. Mi piacerebbe essere chiamato ‘cantante’ o ‘musicista’, piuttosto che soltanto ‘rapper’.

Quando te ne sei andato lo hai fatto in un modo molto particolare: hai pubblicato un tuo video in cui toglievi il ‘mi piace’ alla pagina Facebook della Tempi Duri. Ho visto molte discussioni in rete su questo tuo gesto.

Ho semplicemente voluto dare un segnale forte di questo mio cambiamento.

C’è anche una canzone in cui parli delle etichette e dici “non faccio rap perché non mi rappresenta (…) da un po’ di tempo questa cosa mi va stretta” (il brano è “Facile”).

In Italia capita spesso di stereotipare delle ‘figure’ per così dire: io ad esempio faccio reggae pur non avendo i rasta come Bob Marley. Avendo il cappellino faccio fatica ed entrare nell’immaginario nazionalpopolare come artista reggae o musicista a 360°. Vengo classificato per come mi vesto. In Italia non c’è molta conoscenza del mio background, e succede questo. Per questo noi artisti nelle canzoni cerchiamo di sfatare il mito e farci capire. E’ quello che ho cercato di fare anche io.

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