Home Interviste Paolo Belli, Sangue Blues: “La musica è come il calcio: stare a metà classifica è bellissimo!”

Paolo Belli, Sangue Blues: “La musica è come il calcio: stare a metà classifica è bellissimo!”

Paolo Belli presenta a Soundsblog il suo nuovo disco: Sangue Blues.

di grazias
pubblicato 20 Novembre 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 01:54

Siamo abituati a vederlo in tv ogni sabato sera a Ballando con le Stelle ma Paolo Belli è sempre pronto a stupire. E, proprio per questo, è uscito ieri, a tre anni di distanza dall’ultimo lavoro discografico, Sangue Blues. Undici tracce tra swing, latin, reggae, lindy-hop e boogaloo che il crooner modenese non vede l’ora di far ascoltare al suo pubblico. Pubblico che l’ha seguito fedelmente per tutti i venticinque anni della sua carriera nel mondo delle sette note. Abbiamo fatto due chiacchiere con Belli per farci raccontare Sangue Blues (di cui sembra essere davvero entusiasta), lo spazio che la tv riserva oggi alla musica e anche di quella cena con Vasco in una “Bella Città”…

Paolo, come nasce Sangue Blues?

Prima di tutto sono orgoglioso di dire che abbiamo registrato Sangue Blues come si faceva una volta: tutto in diretta un musicista di fianco all’altro. Poter farlo in questo modo per me è stato un privilegio enorme e il risultato non mi ha certo deluso: l’energia e il suono di questo disco mi hanno fatto venire così tanta frenesia che ora non vedo l’ora di sapere cosa ne penserà il pubblico. Pensa che le persone che l’hanno già sentito, mi hanno chiesto se fosse stato registrato in America…

E dov’è stato registrato, invece?

Beh, non in America! Come sai, io vengo da una terra terremotata e vicino casa mia c’era uno studio di registrazione che ha avuto qualche problema dopo il sisma. Ho deciso di registrare lì il mio disco perché i ragazzi di quello studio dovevano tornare a lavorare, se lo meritavano! Il mix tra la loro bravura e quella dei miei musicisti ha dato vita ad un disco davvero straordinario e per questo, come ti dicevo, non vedo l’ora di farlo sentire al pubblico. Spero che piaccia anche perché chi mi segue mi ha sempre dimostrato un affetto quasi commovente: vedo migliaia di persone ai miei live e Sangue Blues l’ho fatto proprio per tutti loro!

Nel disco ci sono sia cover che brani inediti…

Ho scelto le cover secondo un criterio molto semplice: volevo fare un omaggio a chi mi ha ispirato per fare questo mestiere. Non a caso, il disco si apre con “Vengo anch’io” di Enzo Jannacci. Io l’ho sempre seguito fin da quando ero ragazzino, avrò visto almeno trecento suoi concerti. Da lui ho imparato quella che poi è diventata la chiave del mio successo: l’autoironia. Per quanto riguarda gli inediti, invece, devo dire che sono il frutto della collaborazione tra me e i miei musicisti. Ad esclusione di Questo amore, brano scritto interamente da me in occasione del trentesimo anniversario di matrimonio con mia moglie.

Nel corso della tua carriera hai partecipato tre volte al Festival di Sanremo…Ci torneresti?

Non saprei. Diciamo che Sanremo mi ha dato molta popolarità con Ladri di biciclette, canzone che, pur essendo stata eliminata subito dal Festival mi ha portato ad un grande successo di pubblico. La seconda volta che ci andai, invece, avevo portato un brano meno forte e quell’esibizione mi fece perdere gran parte della mia fama. Voglio dire: a Sanremo bisogna andare solo se si è convinti di avere un pezzo bello perché lì non importa chi sei, conta solo la canzone che porti. In televisione, poi, è tutto amplificato: se fai qualcosa di buono, diventa meraviglioso ma se fai una ca*ata, diventa ancora peggio di quello che è in realtà. Quindi Sanremo è un po’ un’arma a doppio taglio: certo, se fra un mese o un anno mi ritrovassi un pezzo fortissimo, ci andrei volentieri. Altrimenti…Perché rischiare?

Hai vinto anche il Festivalbar. Ora quella manifestazione non c’è più e la musica in tv trova spazio prevalentemente grazie ai talent. Meglio prima o meglio oggi?

Non ho nulla contro i talent, ma penso che a volte i ragazzi che vi partecipano siano catapultati troppo in fretta verso il successo. Questo potrebbe essere un rischio perché uno si abitua da subito ad essere primo in classifica e rischia di perdersi d’animo, quando non proprio di rinunciare, nel momento in cui, come capita a tutti, la sua fama vacilla. Io mi sono esibito su qualsiasi palco: da quello delle parrocchie e delle feste dell’Unità passando anche per i matrimoni. Ancora oggi passo felicemente dalla festa della birra al concerto del primo maggio. E, così facendo, duro da venticinque anni, collezionando primi posti e ultimi posti. Il vero successo, secondo me, non è essere sempre in cima alle classifiche ma restare in questo ambiente per tanto tempo. Perché la musica è come il calcio: vincere tutti gli anni non è possibile, ma stare a metà classifica è bellissimo! Un anno magari fai la Coppa Uefa, un altro invece rischi la retrocessione ma alla fine sei sempre lì. Ecco, questo, forse, manca ai ragazzi che fanno i talent: la consapevolezza che non si possano sempre mangiare i cappelletti, ogni tanto toccano anche le cipolle!

Nel corso della tua carriera, hai collaborato anche con grandi nomi della musica italiana: i Litfiba e Vasco Rossi, ad esempio. C’è qualche aneddoto su di loro che vorresti raccontarci?

Ma certo! La cosa che più mi ha colpito degli artisti che hai citato è la loro umiltà. Ti faccio subito due esempi: una volta stavo provando un brano in studio quando entrò Ghigo Renzulli chiedendomi: “Posso suonare questa canzone? Mi piace molto!”. Io sono rimasto senza parole e ho pensato: “Ma come? Lui mi chiede il permesso di suonare un mio pezzo? Ma mi sta prendendo in giro?”. E’ stata davvero una medaglia che ha voluto darmi ed è una cosa che mi inorgoglisce molto. Come quella volta in cui, a cena con Vasco davanti ad una pizza, gli dissi che scrivere musica mi veniva da sempre molto naturale. Avevo qualche difficoltà in più, invece, nei testi. Quindi gli chiesi se avesse voglia di scriverne uno per me. Lui mi chiamò tre o quattro mesi dopo per dirmi che aveva pronto un brano. Quando lo raggiunsi lui sembrava quasi insicuro, mi diceva: “Non è detto che ti piacerà, eh? Dimmelo pure se non ti va bene”. Io ho ascoltato la poesia che aveva scritto per me, dal titolo Bella Città, e ho dovuto trattenere le lacrime: non potevo credere che un grande artista fosse anche così tanto umile! Ecco, Vasco è uno che da un talent sarebbe stato mandato via subito. Ma grazie al suo carisma e a tutta la gavetta che si è fatto, avrebbe sfondato comunque.

Un’ultimissima domanda: mia madre segue ogni sabato sera Ballando con le Stelle e ti ha trovato molto dimagrito. Mi ha chiesto di domandarti come hai fatto!

Ah, ringraziala molto! In effetti mi sono messo a dieta ferrea e, praticamente, ho smesso di mangiare tutto ciò che più mi piace. Ma, alla fine, sono contento che i risultati si vedano. Insomma, come ti ho detto prima…non si possono mica mangiare sempre i cappelletti!

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