Home Interviste Frankenstein, Enrico Ruggeri: “Non sono mai andato in analisi, la mia analisi l’ho fatta scrivendo canzoni”- intervista Soundsblog

Frankenstein, Enrico Ruggeri: “Non sono mai andato in analisi, la mia analisi l’ho fatta scrivendo canzoni”- intervista Soundsblog

“Ho deciso di registrare le canzoni una alla volta, invece oggi i dischi si fanno in modo diverso”

pubblicato 3 Maggio 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 09:00

Il presidente della Sony ha definito questo disco come “meravigliosamente fuori moda”: parliamo di “Frankenstein”, nuovo lavoro e progetto ambizioso di Enrico Ruggeri.

E fuori moda lo è davvero: è un concept album, registrato pazientemente ‘alla vecchia maniera’. Ogni canzone infatti doveva essere completata in toto prima di affrontare un altro brano, rigorosamente in ordine di setlist. Il disco è stato presentato questa mattina a Milano, all’interno del pub Beda House – location perfetta per l’argomento, dato che all’interno del locale è stata ricostruita una chiesa gotica -.

A margine abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Enrico.

Mi ha molto incuriosita un aspetto del booklet. Accanto al tuo nome hai scritto quasi orgogliosamente “NO AUTOTUNE”. Come mai ti sei sentito in dovere di specificarlo?

L’autotune per chi non lo sapesse è quello strumento, quell’aggeggio, che ti permette di cantare sempre intonato, e che un po’ spersonalizza la voce. Ci tenevo a dire che non è uno strumento che io uso.

Nella storia di Frankenstein c’è una specie di morale di fondo, quella dell’accettazione dei propri limiti umani.

I propri limiti sono anche uno stimolo per cercare di superarli. Ma quando i limiti non sono quelli propri dell’uomo ma sono quelli della natura umana allora il discorso si fa più complicato. Perchè ci sono delle porte che non vanno aperte.

Analizzare Frankenstein come hai fatto tu comporta anche un po’ di autoanalisi…no?

Sicuramente. Intanto io credo che chiunque scriva canzoni, libri, o faccia qualsiasi cosa di artistico lo faccia anche e soprattutto per conoscere se stesso. E’ evidente che, questo mi è capitato sempre nella vita ma credo di non essere l’unico, alcune cose di me che non mi sono chiare diventano più limpide quando scrivo una canzone o un libro. Credo sia un processo tipico dell’artista. Non sono mai andato in analisi proprio perchè la mia analisi è stata quella di scriverci delle canzoni, di liberarmi con le canzoni.

Ci è voluto molto tempo per realizzare questo nuovo disco. Il libro da cui è stato ispirato invece è stato scritto in pochissimo tempo e quasi per gioco, durante una gara di scrittura tra Mary Shelley, Lord Byron e John Polidori. Storia curiosa…

I tempi allora erano diversi, Mary Shelley non doveva entrare in uno studio di registrazione (sorride ndr). Io ho scelto intanto di meditare molto su questo disco, perchè siccome ogni canzone doveva avere valenza propria, doveva essere perfetta per la storia di Frankenstein, e doveva essere perfetta per “L’uomo al centro del cerchio”, che è il mio romanzo. Non potevo sbagliare nemmeno un aggettivo, un avverbio, una parola…tutto doveva essere perfetto. Almeno per me. Per cui è stato un lavoro molto lungo. Se a questo aggiungi che io per mio ordine mentale ho deciso di registrare le canzoni una alla volta. Oggi i dischi si fanno in un altro modo: arriva il batterista e fai le batterie, arriva il bassista e fai le linee di basso, e così via. Io invece finchè non finivo di scrivere, registrare, suonare, cantare e missare il pezzo numero due non iniziavo a toccare il pezzo numero tre. In questo modo alla fine ci metti un anno.

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