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Africa Unite, Bunna a Soundsblog: “Il Salento è la Giamaica d’Italia”

Doppia data all’Hiroshima Mon Amour di Torino: intervista a Bunna

pubblicato 3 Aprile 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 09:51

Partirà oggi all’Hiroshima Mon Amour di Torino il tour degli Africa Unite “Babilonia e Poesia”: si tratta di un tour storico, perchè riunisce per la prima volta la formazione originale datata 1993.

Ovvero Madaski – voce e tastiere, Bunna – voce e chitarra, Papa Nico – percussioni, Sergio Pollone (Disco Inferno, Fratelli di Soledad, Casino Royale) – batteria, Max Casacci (Subsonica) – chitarre, Gianluca “Cato” Senatore (The Bluebeaters) – basso, Paolo “The Angelo” Parpaglione (The Bluebeaters) – sax e Mauro Tavella – campionatori.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Bunna.

Siete decisamente pronti per questa nuova partenza.

Si parlava da tempo di questa cosa. Quando si è capito che c’era la situazione ottimale per tutti i componenti, e si è visto che si poteva fare, l’abbiamo fatto. Per riprovare l’ebrezza di 20 anni fa e festeggiare un momento importante per gli Africa. E’ stato infatti un punto di svolta: il cantare in italiano, l’aver ottenuto l’interesse di un’etichetta…Prima non sapevamo neppure l’esistenza di certe cose: il disco precedente era stato fatto in un altro modo. Siamo stati fortunati per il fatto che Madaski aveva uno studio, ma la distribuzione ad esempio la facevamo negozio per negozio, era una roba molto ‘roots’, usando un termine reggae. Questa ‘reunion’ è capitata in un momento di relativa tranquillità di tutti quanti.

Davvero andavate negozio per negozio a portare i dischi? A pensarci oggi, in un periodo in cui esiste la rete, tanto per fare un esempio…

La rete ha sicuramente rivoluzionato il modo di fruire la musica e farla circolare. Bisogna adeguarsi: i tempi cambiano e le modalità cambiano. Io non sono contrario al fatto che la musica venga data liberamente. Per un gruppo con un progetto come il nostro, questa cosa può tornarci utile: anche perchè per noi l’aspetto live è fondamentale, e chi ci conosce poi può venire ai nostri concerti. Per fortuna la rete ha accorciato le distanze tra chi fa la musica e chi la fruisce. E’ importante che ci sia questo rapporto.

Quando siete tornati con la formazione del 1993, avete detto che non avreste mai immaginato di registrare dei singoli (“E’ sempre stata lì” e “Shame down babylon”).

Oltre a condividere i palchi in questi 12 concerti, volevamo condividere anche la socialità dello studio di registrazione. Abbiamo individuato due pezzi – quelli più a buon punto – e abbiamo cercato di coinvolgere i nostri compagni di allora, cercando di ricreare il sound di quel tempo. Si tratta di un pezzo in inglese e uno in italiano. Li abbiamo messi su Soundcloud, per ricollegarci al discorso della rete, gratuitamente.

Avete ormai compiuto i 30 anni di carriera. Come è possibile trovare sempre nuove idee?

Parto sempre da un approccio molto semplice: io fondamentalmente cerco di scrivere le canzoni. Il mio approccio è di quello che prende la chitarra in mano e costruisce una melodia. Per quanto riguarda i suoni nuovi, che abbiamo sempre esplorato con gli Africa, abbiamo cercato di andare oltre ai limiti del reggae. Quando la canzone è strutturata, il vestito da metterci si vede in un secondo momento. L’essenza è quello che conta: se una canzone è bella puoi farla in qualunque modo. In tutti questi anni abbiamo sperimentato un sacco di cose, gli Africa non hanno mai seguito un piano ben preciso. Ogni disco rappresenta il momento in cui è stato concepito.

Parlando del vostro pubblico invece?

C’è anche un pubblico molto giovane insieme ai nostri coetanei ai concerti. Siamo riusciti anche a interessare le nuove generazioni: il reggae negli ultimi anni ha avuto una grossa crescita, ci sono stati eventi particolari che hanno educato il pubblico ad ascoltare un certo tipo di musica e a seguire un certo tipo di cultura. Ci sono poi un sacco di gruppi che stanno iniziando a farsi sentire. In questo modo la scena cresce. Almeno in ogni regione c’è un evento dedicato al reggae, per non parlare del Salento, che è la ‘Giamaica d’Italia’. Anche il Veneto e il Friuli sono regioni in cui c’è una scena storica.

Com’è oggi il reggae?

E’ una musica che sa di positività, anche se negli ultimi tempi non è più veramente così. Alcuni gruppi in Giamaica stanno andando in un’altra direzione, anche per quanto riguarda il messaggio della musica. Si sono fatti contaminare dal gangta rap, mentre noi ci siamo sempre ispirati al reggae di Bob Marley.

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