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The Dead Daisies: Doug Aldrich e David Lowy ai microfoni di Blogo

I due chitarristi ci svelano il segreto dell’eterna giovinezza musicale, grazie ad una band che in cinque anni si è decisamente data da fare…

pubblicato 6 Luglio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 04:21

I Dead Daisies esistono da soli cinque anni, ma decisamente si sono dati da fare: tre dischi, molti EP, e a coronamento di tutto ora esce anche Live & Louder, un live album che cattura il punto forte di questo supergruppo, ovvero la carica dal vivo.
E’ proprio grazie ad un concerto (quello del 4 Giugno a Bergamo) che ho l’occasione di parlare con i due chitarristi della band: David Lowy, fondatore del gruppo, e Doug Aldrich, ultimo membro entrato nella formazione.

Questo concerto, e questa intervista, sono il segno di quanto lavorino duramente i Dead Daisies, visto che solo pochi mesi fa erano già stati in Italia per tre concerti (qui su Soundsblog avevamo recensito quello di Milano), e anche in quell’occasione si erano concessi ad altre interviste (avevo parlato con John Corabi).

Iniziamo quindi la nostra chiacchierata proprio parlando di cosa spinge musicisti con carriere decennali a suonare ancora con il fuoco dentro…

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Doug, hai firmato tantissime canzoni nel corso della tua lunga carriera. Come ti approcci, oggi, a scrivere un nuovo brano? Cerchi l’originalità, il groove, la potenza, o cosa?
Doug: “E’ una cosa sempre diversa… con questa band il processo creativo è totalmente diverso rispetto alle altre, perchè lavoriamo sempre e costantemente come un gruppo. Ognuno, in qualsiasi momento, può arrivare con un riff o una sezione ritmica in testa, e può chiedere agli altri una jam al volo, per vedere se ci si può lavorare sopra.
Quando tu porti il seme di una canzone, e vedi che tutti ci lavorano sopra, e questo seme cresce e poi sboccia in una bella canzone, tutti si sentono fieri di quel che hanno fatto insieme. Penso sia per questo che xxx sia stato accolto con recensioni positive praticamente in tutto il mondo, perchè è un vero lacvoro di gruppo, in cui tutti sono orgogliosi di aver lavorato su tutto.
Ci chiamano un “supergruppo”, e capisco quel che vuol dire la parola: ognuno di noi, da solo, potrebbe scrivere una buona canzone completa. Testo, musica, ritmiche, siamo tutti musicisti in grado di sederci da soli in una stanza, ed uscire con un buon brano. Ma i Dead Daisies non lavorano così, facciamo tutto insieme e alla fine siamo tutti eccitati per il risultato, non ci sono critiche dietro le spalle, perchè ognuno ci ha lavorato su.”

David, tu che hai visto nascere la band, è stato sempre così, fin dall’inizio?
David: “Sì, è stato proprio il motivo per cui ho fondato i Dead Daisies: sono stato in molte altre band in Australia, ma sentivo il bisogno di collaborare con qualcuno, non solo “lavorare”. In questi cinque anni sono passati molti musicisti per la lineup dei Dead Daisies, e con ognuno ci siamo lasciati in buoni rapporti perchè il processo creativo, ovvero la cosa che piace di più ad un musicista, è sempre stato rilassato e collaborativo.”

Hai appena sottolineato come i Dead Daisies esistano da cinque anni… è incredibile, perchè sembra che siate una band che è in giro da almeno il triplo del tempo! Avete un vostro sound, il vostro nome circola nelle classifiche dei dischi preferiti da musicisti e giornalisti…
David: “E’ incredibile, vero? Penso che giochi anche un ruolo importante il fatto che i membri dei Dead Daisies abbiano una lunga storia musicale alle spalle, sono nomi che hai sentito per decenni, fra Motley Crue, Whitesnake… e ora sono tutti qui, tutti insieme, a far la musica che preferiscono.”

Hai visto la band cambiare, nel corso di questi cinque anni?
David: “A livello di lineup, di sicuro!
Ma nell’ultimo anno ci siamo stabilizzati, e ci troviamo tutti bene gli uni con gli altri, non solo a livello personale ma anche musicale. E’ per questo che riusciamo a creare musica di qualità, perchè ad ognuno piace un certo tipo di suond.”

Doug, tu invece sei il membro più nuovo dei Dead Daisies, come ti sei trovato?
Doug: “Ho sentito che la band cercava un chitarrista grazie a Marco Mendoza…”

Scusa se ti interrompo, ma quando ho parlato con John Corabi, anche lui ha detto che ha avuto il contatto con i Daisies grazie a Marco! E’ tipo il talent scout del gruppo?
Doug: “Ahah, guarda, se tu vai ad una festa dove ci sono musicisti e non sai cosa dire, puoi buttare lì “Hey, conosci Marco Mendoza?”, e tutti inizieranno a raccontare storie su come lo conoscono, e subito legherete con sconosciuti. Marco conosce tutti!
Comunque, ovviamente conoscevo Marco perchè ho suonato con lui nei Whitesnake, mi chiamò un giorno perchè Richard Fortus aveva avuto un incidente in moto, e serviva al volo un chitarrista per sostituirlo in tour. Avrei molto voluto, ma avevo altri impegni da cui non potevo liberarmi, quindi ho dovuto rifiutare, specificando però che se avesse avuto bisogno in futuro, avrebbe potuto chiamarmi ancora. Dopo un paio di mesi, mi chiamò per dirmi che Richard stava per intraprendere un lungo tour con i Guns N’Roses, e quindi sarebbe servito un chitarrista fisso, e in quel momento per fortuna ero libero!”

Conoscevi i Dead Daisies, prima di ricevere quella telefonata? John aveva ammesso candidamente di non averli mai sentiti…
Doug: “Sì, certo, li conoscevo fin dall’inizio, quando avevano un altro cantante. Avevo visto i loro video, pensavo fossero una band interessante. Poi nella formazione è entrato Marco, che è un amico di cui seguo qualsiasi progetto musicale, e poi ho scoperto che avevano cambiato cantante: era arrivato John, che conoscevo fin dalle scuole superiori! Ho seguito con interesse il loro viaggio a Cuba, e quando poi ho visto il video di Midnight Moses mi sono molto emozionato perchè John suonava quella canzone nei club di Philadelphia quando eravamo poco più che ragazzini. Ricordo che andavo nei club e lo trovavo sempre a suonare questa cover della Sensational Alex Harvey Band, e vedendolo suonare a Cuba ho pensato fosse stata una mossa di genio, proporla ai Dead Daisies. Ricordo che chiamai Marco e Brian per complimentarmi per il video!”

Senti di aver perso un’occasione, a non essere stato nei Dead Daisies per quello storico viaggio a Cuba?
Doug: “Sono contento per gli altri ragazzi che ci sono stati, e sono sicuro che un giorno ci torneremo insieme. Non sono un tipo invidioso!
Ma forse tu non ti rendi conto cosa voglia dire, per persone come noi, venire a Milano, ad esempio. Tu ci vivi a Milano, forse non è speciale fare un giro nella Piazza del Duomo, ma per noi venire in Italia è ogni volta un’emozione. Fa niente se non sono ancora stato a Cuba, sono contento di poter venire in Italia almeno una volta all’anno!”

Avete citato Midnight Moses, una delle tante cover che proponete durante i vostri concerti. Guardando la tracklist di Live & Louder, ci sono cinque cover su quindici brani. La proposta di cover dal vivo è diventato qualcosa sulla quale ormai i fan contano?
David: “Tu parli di “fan” come se fossero una cosa diversa da noi… anche noi siamo fan, e quindi anche noi ci divertiamo a scegliere cover! Una cover aggiunge qualcosa di elettrico ad un concerto… e noi moltiplichiamo questa elettricità!”

Sono tantissime le persone che, dopo un concerto, dicono “Hey, ma hai sentito che super-versione di American Band hanno suonato? E quando hanno fatto Fortunate Son?” – come vivete voi questo complimento, che al contempo mette in ombra le vostre canzoni originali?
David: “Chi ama la musica conosce quelle canzoni da tutta la vita, è chiaro che si esaltano di più a sentirle. Però tirano su le mani e applaudono anche per Mexico o Long Way To Go, non vengono al concerto solo per le cover! Non ci offendiamo, insomma – purchè mettano la stessa passione nell’applaudire anche i nostri brani.”

Nel dvd incluso con Live & Louder, si vede quanto siate uniti come band anche nel backstage: visitate le città insieme, ridete, vi rilassate… è questo il segreto per l’eterna giovinezza musicale?
David: “Per noi la musica è anche divertimento. E’ bello suonarla, ed è un privilegio girare il mondo per suonarla. Per alcune persone sembra facile cadere in una sorta di apatia, quando la routine diventa “concerto-trasferimento in una nuova città-concerto-trasferimento in una nuova città-concerto”. Noi aggiungiamo anche la visita alla città, il parlare con la gente, e scambiarci opinioni su quel che abbiamo appena visto e vissuto.
Lo scopo di stare in una band è suonare musica divertendosi, non odiarsi gli uni con gli altri e “fare il proprio lavoro”. Quindi, al di là dei cambi di lineup, i Dead Daisies da sempre si mantengono uniti e freschi, grazie ai buoni rapporti fra i singoli membri della band!”

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