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Sentieri indipendenti: musica, cibo, ‘Na Cosetta a Roma

Buon cibo e musica live al ‘Na Cosetta di Roma.

pubblicato 28 Agosto 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 14:12

Per l’ultima tappa di Sentieri Indipendenti siamo arrivati nella nostra bellissima capitale. Roma, al Pigneto c’è un locale dove i piaceri della vita si incontrano: a chi non piace mangiare bene? E se dopo aver gustato la vostra cena aveste anche la possibilità di sentire una band suonare live in un posto intimo, che sa di casa?

Abbiamo parlato con Luca, direttore artistico e chef del ‘Na Cosetta.

Quando nasce ‘Na Cosetta? Chi siete? Cosa fate e cosa vi piace fare?

‘Na Cosetta nasce davvero per caso. Tutti noi avevamo un altro lavoro, io facevo lo chef, Angelo il barman, Chiara e Stefano avevano la loro agenzia di comunicazione “KOOK” e fu proprio la loro agenzia a farci iniziare a lavorare insieme. KOOK aveva un credito da riscuotere che venne trasformato in uno spazio in una festa estiva all’aperto, la classica manifestazione con stand e un palco per i concerti. Non avevamo molto tempo, anzi pochissimo e nel domandarci “che facciamo” o “come lo facciamo” la risposta fu “facciamo ‘Na Cosetta”! Incredibile che nessuno avesse pensato ancora a questo nome, ma mi è capitato più volte lavorando con Stefano che trovo sia un comunicatore straordinario, le sue intuizioni sono state tantissime, è come fare l’artigiano e avere accanto qualcuno che impacchetta alla perfezione il tuo lavoro. A questo team va aggiunta Fabrizia Ferrazzoli, il nostro ufficio stampa, una minuta e bionda ragazza che quando lavora ringhia. Indispensabile. La manifestazione a cui partecipammo fu davvero un flop mentre il nostro stand ogni giorno era pieno di gente. Ricordo ancora oggi le file lunghissime al nostro bancone e il deserto intorno a noi. Finita la manifestazione ognuno tornò al suo lavoro, ma ci rimase il gusto in bocca di quell’esperienza e decidemmo di trovare uno spazio per proseguire questa avventura. Lo trovammo a cinque metri da casa mia al Pigneto.

Lavorate su due realtà apparentemente molto distanti fra loro: il buon cibo e la buona musica. Cosa vi ha ispirati a provare questo abbinamento?

Non c’è stata una vera e propria ispirazione, ma un naturale corso delle nostre esperienze. Come dicevo prima, io sono uno chef e ho studiato per fare questo, ma la musica è una cosa che ci accomuna tutti quanti. Angelo per esempio suona il basso, Chiara ha studiato pianoforte e Stefano è un ottimo ballerino di swing. Anch’io mi diletto con la tromba, ma per il bene comune è meglio che non salga mai su un palco. Ci piaceva molto l’idea di impacchettare una serata dalla cena per poi finire con un live seduti comodamente al tavolo. Sarà che non siamo più dei ragazzini e restare in piedi per ore davanti ad un palco inizia a diventare faticoso. A quanto pare non siamo gli unici a pensarla così perché c’è moltissima gente che apprezza questo modo di proporre musica.

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Di questi tempi, tra una stagione e l’altra di MasterChef, pare che l’interesse sul mondo enogastronomico si sia allargato a molte più persone. Voi, come bistrot, quale pensate sia il vostro asso nella manica? Il piatto forte?

Quando facevo l’alberghiero la nostra preside spesso ci diceva che il mondo della cucina stava cambiando e che i cuochi, che fino ad allora erano relegati in cucina, avrebbero avuto molta più visibilità. Aveva previsto tutto. Ora gli chef sono delle star e anche piuttosto antipatici a mio avviso. Quello che amo di più del lavoro del cuoco è proprio il non essere visibile al pubblico. Forse non abbiamo un vero asso nella manica, ma una propensione a voler rendere la cena dei nostri ospiti il più possibile conviviale. Ecco, un grande chef ti avrebbe risposto la ricerca delle materie prime – cosa che naturalmente facciamo – o un’idea di un piatto innovativo. Anche se il nostro ampio menu prevede piatti particolari come il carpaccio di zucca o il tataki di manzo kobe, entrambi marinati in una salsa speciale, il nostro obiettivo non è quello di esaltare esclusivamente il piatto, ma quello di tornare alle origini della socialità a tavola concentrandoci sull’atmosfera e sulle persone, senza porre tutto l’accento sul piatto, come accade nella maggior parte dei locali di oggi. Insomma logiche di estetica fine a se stessa non fanno per noi, nessun architetto è stato contattato per dare una linea a ‘Na Cosetta, siamo noi e la nostra idea di “casa”, perché chi viene a trovarci deve sentirsi bene. Il nuovo menù, per esempio, prevede piatti consigliati dai nostri clienti più affezionati. Questo è il nostro segreto, ovvero fare le cose insieme.

Passando alla musica, come selezionate gli artisti da portare al ‘Na Cosetta? Cosa vi piace trovare in loro?

Gli artisti che vengono a suonare ci dicono che si sta benissimo su quel palco, ma non credo sia così facile come si può pensare. Si suona a mezzo metro dal pubblico, tra i tavoli con persone che mangiano e bevono e l’artista può sentire persino il loro respiro. Al ‘Na Cosetta il concerto deve funzionare per forza altrimenti è un disastro. Il pubblico nella sala non ha altro da fare che ascoltare il live e ci è venuto appositamente. Il locale è studiato proprio per questo, ovvero la sala dei live è distante dal bar o dall’altra sala dove si siede chi vuole parlare con gli amici, ma la sala concerto è un tempio e la musica è la protagonista indiscussa. Il nostro palinsesto prevede sette concerti alla settimana e l’anno scorso abbiamo superato le trecento date. In una recente classifica di Roma siamo il primo live club per numero di concerti organizzati. Fare il direttore artistico per me è cosa semplicissima e difficilissima allo stesso tempo. Molti direttori artistici se la menano con questo ruolo, ma non ne capisco francamente il motivo. Trovare buona musica in Italia è facilissimo e senza fare retorica sui mass media ce n’è troppo poca che passa a grandi livelli. La parte difficile è accontentare tutti, organizzare date con artisti da tutta Italia e soprattutto con gli artisti stranieri. Un lavoro che mi ruba tantissimo tempo e che può durare mesi. Su ciò che ci piace trovare negli artisti la risposta è semplice: empatia con il pubblico.

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Musicalmente parlando, cosa ne pensi di Roma? Cosa offre la città e cosa, invece, manca?

Musicalmente Roma sta più o meno come le altre città d’Italia, ovvero non benissimo. Basta farsi un giro dei locali per capire la situazione. Il dramma sta nel fatto che i musicisti, gli organizzatori, i locali, le etichette e le agenzie di booking fanno tutti un buon lavoro, peccato però che poi bisogna confrontarsi con un pubblico che non può o non vuole spendere. Si chiama mercato della musica perché dovrebbe essere economicamente autosufficiente, ma purtroppo siamo lontani da questo traguardo. Ho visto file in locali dove si discuteva per tre euro di ingresso per assistere ad un concerto oppure posti dove nessuno pensa che bere una birra possa giovare al locale che paga l’artista. Insomma questo pubblico c’è e vuole il concerto, ma o non ha le risorse per sostenerlo o non vuole spendere un euro. Un obiettivo che ci siamo posti fin da subito era quello di rivolgerci ad una nuova tipologia di persone, un “nuovo pubblico”, svincolati dal presenzialismo che va per moda ai concerti o che usa le mani solo per applaudire i loro beniamini ma non per prendere il portafogli e che non riconosce il lavoro di tutti noi del ramo. Questo pubblico c’è, ma è molto ridotto. Il lavoro di uno spazio come il nostro è quello di “spiegare” che chi salirà sul palco è stato scelto; le persone si devono fidare del locale che organizza musica dal vivo. Questo significa proporre musica. Ci vuole tempo per questo, ma il semplice fatto che la sera riceviamo telefonate per prenotare un tavolo e poi solo successivamente ci viene chiesto chi suonerà, mi fa ben sperare. C’è gente che vuole conoscere e che potrebbe diventare per l’appunto il “nuovo pubblico”.

Il ricordo più bello o divertente che hai di una serata firmata ‘Na Cosetta?

Le nostre facce la prima settimana di apertura di due anni fa. Facce distrutte. Dovevamo fare un mese di carburazione per essere poi pronti alla festa ufficiale di apertura. Venne tantissima gente, troppa per le nostre previsioni e noi non sapevamo dove tappare i buchi. La festa di inaugurazione deve ancora essere fatta.

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