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Paolo Meneguzzi a Blogo: “Non rientro più in certi meccanismi, lo accetto ma non è stato facile”

Il debutto, il successo, le difficoltà ed il nuovo percorso musicale. Paolo “Pablo” Meneguzzi si racconta.

pubblicato 19 Luglio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 15:30

La vittoria del Festival di Viña del Mar in Cile nel 1996. L’approdo in Italia. Cinque Festival di Sanremo. Numerosi tormentoni campioni di vendite e passaggi radiofonici: In nome dell’amore, VeroFalso, Lei è, Guardami negli occhi, Non capiva che l’amavo, Musica. Meneguzzi la ‘vetta’ l’ha toccata spesso in vent’anni di carriera.

Partiamo dai fondamentali: Pablo o Paolo?

“Tutti i miei amici mi chiamano Pablo, è il mio nome all’anagrafe. Ho origini latinoamericane dentro di me e mi hanno segnato nella musica. Artisticamente mi chiamano ancora Pablo, benché abbia provato a cambiarlo più volte”.

Sogno d’estate è il tuo nuovo singolo.

“Ho voluto far uscire l’anima felice che c’è in me, non era mai uscita in passato e un po’ mi dispiaceva. Son sempre stato conosciuto per i brani malinconici, davo sempre un senso di angoscia o tristezza. Questa volta ho voluto tirar fuori quella che è la mia vera anima: ho fatto il deejay per tanti anni, sono il burlone della compagna e quello che fa gli scherzi agli amici quando si sposano. Ma questo aspetto di me non si conosceva finora”.

A settembre uscirà 20, il nuovo album.

“Festeggio così il mio ventesimo anno di carriera. Nel febbraio 1996 ho partecipato al Festival di Viña del Mar in Cile e lì è arrivato il primo successo. Poi, scalino dopo scalino, sono arrivati i primi contratti discografici e l’arrivo in Italia. Festeggio questo ventennale con un album composto da dieci inediti e dieci canzoni del passate rifatte”.

Hai detto basta alle major?

“Ho avuto un momento in cui criticavo le major. Onestamente, ognuno deve fare la propria strada, è giusto dare spazio anche a cose nuove. Io faccio il mio, sono felice perché non rientro più in certi meccanismi. Posso permettermi di fare questo lavoro grazie al passato, grazie alle major che mi hanno sostenuto, e vivo – fra virgolette – di rendita. Così mi sento libero”.

Quando parli di “certi meccanismi” a cosa ti riferisci?

“Sai, io avevo un produttore molto potente che si chiamava Massimo Scolari e che mi ha aiutato tantissimo a livello manageriale per inserirmi in certi ambienti. Ma a lui, sostanzialmente, piaceva quel mondo e voleva starci. Qualche anno fa, quando criticavo e mi sentivo tagliavo fuori, mi ha aiutato mia madre. Stavo vivendo un momento di tristezza, è arrivata lei e mi ha detto: ‘Pablo, devi capire che o sei dentro o sei fuori, non c’è una via di mezzo. Se vuoi star dentro devi seguire un certo meccanismo, andare alle feste, conoscer la gente e quant’altro. Se vuoi star fuori da questi meccanismi, sei fuori’. Da quel momento mi si è aperto un mondo”.

Oggi sei dentro o fuori?

“Mi sento fuori, completamente. Sono l’artista pop più alternativo che esista. Faccio una musica che dovrebbe essere passata dalle radio commerciali ma al tempo stesso non voglio seguire certe logiche”.

Come sono stati questi 20 anni di carriera?

“Dipende dagli obiettivi che ti poni e da come vuoi viverti la vita. Oggi, anche grazie agli anni che ho passato, posso gestirmi in maniera diversa. Faccio i miei live, vado in SudAmerica, ho opportunità per stare bene. Più fortunato di così non posso essere. Certo, mi devo saper gestire: non posso permettermi la barca o la Ferrari come altri. Ho riscoperto la famiglia, i miei genitori, la mia ragazza che non ho potuto mostrarla alla gente per sette anni”.

Te lo vietavano?

“Era una scelta di marketing, accettata da me, plagiato da determinate persone. Era anche colpa mia. Questo mi ha portato ad essere un personaggio di plastica, ovattato e molto protetto. Troppe volte dicevano che ero un omosessuale”.

Ti dava fastidio?

“Non mi davano fastidio le accuse di omosessualità, non sarebbe stato un problema. Mi davano fastidio certi commenti perché mettevano in dubbio le mie canzoni e le mie storie. Io parlavo di ragazze tutto il tempo e in quel modo mi davano dell’ipocrita. Quelle vicende mi hanno fatto capire che certi compromessi non avrei dovuto accettarli”.

Torniamo indietro. Debutti in Italia nel 2001 con il Festival di Sanremo. La svolta?

“L’ho avvertita con In nome dell’amore. Radio Deejay è stata la prima radio a suonarla. Per me, che avevo fatto il deejay ed ero un fan di Albertino, è stato davvero impressionante sentirmi su Deejay. Mi sono detto: ‘Wow, forse posso farcela sul serio’”.

E ce l’hai fatta davvero: VeroFalso, Lei è, Guardami negli occhi, Non capiva che l’amavo. Eri l’uomo dei tormentoni.

“Quando sei lì, te la vivi in maniera strana. Ti senti tanto successo addosso ma io non mi sono mai posto la domanda ‘Quanto sono famoso?’ o ‘Sono un fenomeno?’. Facevo quel che mi chiedevano, ho fatto le mie canzoni, ho lavorato tanto. Ho lavorato molto di più rispetto ad altri. Ho cercato di guadagnarmi i risultati: ero sempre chiuso in studio, sempre a lavoro su nuove cose… senza neppure rendermi conto di quello che stava succedendo. Il successo, poi, lo avevo già assaggiato in SudAmerica. Lì ero diventato davvero un fenomeno di stile, alla One Direction. Quel successo lì, non l’ho avuto in Italia”.

Quelle canzoni ti hanno fatto “vivere di rendita”?

“Solo le canzoni no. Se consideriamo tutto il contorno, direi di sì. In tour mi chiedono sempre In nome dell’amore, VeroFalso, Lei è, Quel ti amo maledetto. Mi cercano e mi vogliono in tour per quelle canzoni”.

Festival di Sanremo. Ne hai fatti cinque in otto anni.

“Son stato molto fortunato, anno dopo anno. Il primo è stato grazie alla Sony, mi avevano preso dal SudAmerica, mi avevano fatto un contratto e mi avevano buttato a Sanremo. Il secondo è stato quello di Tony Renis, un Sanremo particolare: non c’erano i Big ma gli emergenti, io ero appena uscito con In Nome dell’Amore ed ero primo in classifica nelle radio. L’anno successivo non mi hanno potuto dire di no, avevo fatto talmente tanto successo (ride, ndr)… Poi c’è stato il 2007 con il pezzo migliore che abbia scritto, Musica. E l’ultimo nel 2008″.

Ci hai più riprovato?

“Ci ho riprovato lo scorso anno. Avevo presentato una canzone con Gionny Scandal, un rapper molto forte. Avevamo messo in piedi un progetto, forse non è stato capito o non è piaciuto. Non ci riprovavo da un po’”.

Tanti si chiedono: “Che fine ha fatto Paolo Meneguzzi?”. Alcuni ti hanno pure definito una “meteora”. Ti fa incazzare?

“Ma no, l’accetto e vado avanti. Non ho più questi problemi. Mi sono tirato fuori dalle cose che mi davano fastidio”.

Quindi farti da parte è stata anche una tua scelta?

“Non proprio. Nessuno sceglie di diventare meno famoso e nessuno è felice di ciò. Ma il tempo passa e lo si accetta. Le cose cambiano e magari non hai più voglia di stare dentro a certi ambienti. Ora ho la mia vita normale, ma direi una bugia se dicessi che è stato facile o che non mi ha fatto male. Se avessi potuto tenere il successo e la mia vita normale, l’avrei fatto”.

Secondo alcuni giornali ti eri reinventato barista.

“Beh, quell’episodio mi ha dato proprio fastidio. Non scrivono nulla anni, nonostante i nuovi dischi, però si occupano di te perché stai aprendo un bar. Quello del bar è stato un investimento, aperto con altri soci. Vivendo metà del mio tempo ad Ibiza, passavo spesso dal bar e cercavo di dare una mano. Questo non significa che facevo il barista, anche se non ci sarebbe nulla di male. Io sono il tipo che non si fa mai problemi, i miei genitori mi hanno insegnato l’umiltà ed i sacrifici per il lavoro. Se sono nel mio bar e c’è bisogno, io lavoro, non me ne frega niente”.

Mi piacerebbe chiudere con Progetto Amore, la tua associazione benefica.

“Progetto Amore è nato ad un pranzo con degli amici. Avevo tirato fuori l’idea di cantare nel mio paese, mi sarebbe piaciuto tornare lì con un concerto e fare qualcosa per beneficenza. Era il 2008, era appena uscita Musica e andavo ancora forte. Da cosa è nata cosa, mi sono proposto per fare un concerto e si sono aperte mille strade. I soldi raccolti sono stati tanti. Abbiamo aperto un parco giochi immenso per i bambini, abbiamo comprato ambulanze, salvato le vite di bambini, comprato incubatrici e tanti altri progetti che sono sul sito dell’associazione. E’ stata la prima cosa bella che ho fatto nella mia vita”.

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