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Andrea Mirò a Blogo: “Riesci a dare il massimo quando il percorso è meno certo”

La cantautrice ci racconta la genesi di “Nessuna Paura Di Vivere”, il suo nuovo disco

pubblicato 2 Giugno 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 16:13

Per gli artisti di oggi i tempi moderni sono una sofferenza in un certo senso, strizzati da logiche produttive che fanno un po’ a cazzotti con la calma necessaria per l’ispirazione. Insomma, manca il tempo per fare le cose fatte bene.

Eppure, come ci ha raccontato Andrea Mirò in questa intervista per la pubblicazione di “Nessuna paura di vivere”, che arriva a quattro (Q-U-A-T-T-R-O) anni dal suo ultimo disco di inediti, per fare un bell’album bisogna avere – e dedicare – tempo.

Mi sembra che questo disco sia nato, come dire, senza impegno tra te e Manuele Fusaroli.

Ci piaceva l’idea di collaborare, io e Manuele, ma non sapevamo esattamente se saremmo stati così compatibili. Ci sembrava per certi versi che ci fossero delle distanze, invece poi lavorando ci siamo accorti che la cosa funzionava. C’eravamo dati due o tre pezzi, e dopo abbiamo capito che avremmo fatto tutto il disco insieme.

Son quelle situazioni da cui nascono le cose migliori di solito, quelle che non ti aspetti.

Sì, perchè ognuno dei due dà il massimo perchè ovviamente non sei comodo, non hai la certezza. Il percorso è meno certo e quindi sei portato a dare il massimo. Per avere il massimo dei risultati.

Com’è stato il lavoro in studio?

Alcune cose sono state registrate in diretta, ci sono sezioni con il gruppo, musicisti molto bravi, molto creativi. Anche alcune sessioni mie e di Manuele sono nate direttamente. Il singolo, “Deboli di cuore”, è stato registrato ad esempio in un pomeriggio. Dopo l’aperitivo, perchè cambiava anche ritmo. Il ritmo dei giorni in studio era di partire in modo più soft e poi darci dentro fino alla sera tarda. “Deboli di cuore” è nato con me al piano e Manuele attaccato con la Fender. Abbiamo girato in loop finchè abbiamo trovato quello che volevamo. Poi abbiamo messo rec al volo e abbiamo registrato. Anche “Nessuno escluso” è stato registrato in una sessione live, ed è stata la versione che abbiamo tenuto. “Reo confesso” invece ho scritto il testo alle 8 del mattino e alle 8.20 lo avevo chiuso. Avevo la storia, ma non ancora il testo, e nel pomeriggio l’abbiamo realizzato. Io l’ho cantato così, con il foglio davanti, quasi leggendola per la prima volta. E’ venuta talmente bene che quando abbiamo rifatto i cantati, la nuova versione era bella ma non aveva quella pancia diciamo diretta. La prima era così perfetta che abbiamo tenuto quella. Le prime take dei pezzi hanno delle caratteristiche che poi, se vuoi farle ‘in bella’, passi tutto il resto del tempo a cercare.

Ma tu avevi già in mente di fare un disco?

Avevo già un po’ di materiale sparso, tra testi e musiche. Magari alcune cose erano meno definite, ma sapevo che sarebbero passati quattro anni dall’ultimo disco. Che è un’enormità, lo sai, ma l’ho fatto quando avevo tempo da dedicargli.

“Nessuna paura di vivere”: come vivi tu questo sentimento?

E’ un titolo che vuol dire tantissime cose, in ambito personale, sentimentale, sociale…è un periodo difficile questo, in cui la parola paura spesso viene utilizzata in senso negativo. La paura di confrontarsi con gli altri, la paura di mettersi in gioco, la paura dei rapporti a due, la paura di guardarsi allo specchio, la paura nei rapporti di lavoro, la paura della diversità, la paura su tutto. Così come quando si parla di crisi si dovrebbero vedere delle opportunità per tutti quanti. Bisognerebbe usare la parola paura vista come momento in cui prendere il volo, che sia un motore per qualcosa d’altro, che ci sia la voglia di mettersi in gioco. Sapendo che non sarà una vittoria ogni volta.

Come artisti dovete lottare molto contro le dinamiche di produzione dettate della tempistiche moderne, ma forse bisognerebbe recuperare un po’ la calma, per fare le cose per bene.

E’ quello che si cerca di fare, il problema è che quattro anni oggi è come una volta dieci anni. Nel frattempo succedono così tante cose, esce così tanto materiale parlando di musica, tutto è velocizzato. Mi sembra l’altro ieri di essere andata a dirigere i Perturbazione a Sanremo, ma in realtà sono passati anni. C’è proprio un altro ritmo che ci viene imposto in generale, in tutte le cose della nostra vita. E questo disco parla anche di questo, è un po’ un riprendersi gli spazi, riprendersi tempi umani. Quando la richiesta è di fare tutto nel minor tempo possibile, allora bisogna dire anche dei no. Quattro anni è anche un tempo giusto per un artista, invece non si sa bene per quale motivo devi buttare fuori un sacco di materiale. L’unico motivo che viene in mente è tenere alto il tuo nome e fare in modo che la gente ne parli. Fine. Quattro anni è il periodo giusto per lasciare un percorso, farlo decantare e passare a qualcosa d’altro. Oppure vivi, non puoi passare tutto il tempo appiccicato ad un un tavolo o ad una chitarra, le cose nuove vengono perchè le esperienze nella vita crescono, e se non hai tempo di farle come fai. Mi piace dare, in questo caso sono 12 tracce, 12 pezzi di me, che sono stati lavorati in un modo specifico. Non faccio un disco giusto per fare un disco.

Foto | Chiara Mirelli

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