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Enrico Ruggeri – Leggi l’intervista su Soundsblog tra Sanremo, Eros Ramazzotti, l’esperienza in tv e… De Andrè!

Intervista a Enrico Ruggeri sulla musica, il suo passato e l’esperienza tv

pubblicato 8 Giugno 2011 aggiornato 16 Ottobre 2020 16:29




Enrico Ruggeri
è stato ospite al Politecnico di Milano, lasciandosi intervistare dal rettore dell’Università e dal pubblico presente in sala. Disponibile, impegnato nel suo tour “Il giorno che sarà”, il cantante ha parlato di se stesso, dei suoi tempi (frase che lo ha rattristato non poco…) e della situazione della musica in generale.

Interessante, acuto e mai banale, è uscito il ritratto di un artista coinvolto e coinvolgente, pronto a rispondere ai quesiti delle persone in sala. Ecco alcuni passaggi degni di rilevanza. Partendo dall’assunto che la sua musica non è mai stata uguale a se stessa nel tempo, la creatività è parsa come elemento fondamentale del passato e del presente di questo cantautore.

“Per secoli i grandi artisti hanno prodotto cose migliori a crescere, verso la fine della loro vita. Tant’è che si usa il termine ‘opera giovanile’ come a dire quando l’artista non era ancora del tutto maturo e formato. In effetti, negli ultimi 50 anni, la maggior parte degli artisti esprimono le cose più interessanti in gioventù per poi passare la propria maturità a replicare quella formula che li ha portati al successo. Solo negli ultimi decenni gli artisti sono stati così glorificati in vita. Per secoli l’arte è stata fatta con una purezza superiore: oggi è normale, per tutti gli artisti anche quelli più puri, ammettere di essere contenti se il libro o l’album viene comprato e venduto. Si pensa, almeno inconsciamente, a quello che succede. Qualcuno diceva che è più facile scrivere un bel libro in una mansardina fatiscente che in un bell’attico… si soffre di più. Ma l’obiettivo, oggi, è quello di riuscire a mantenere quella verve di comunicare, stupire te stesso e gli altri anche se la vita diventa più gratificante. Io non so se sono un artista completo ma se lo fossi è perchè mi comporto in maniera diversa dall’artista medio…”

Leggete dopo il salto per capire meglio cosa intende…

enrico ruggeri soundsblog Ecco qual è la differenza:

“L’artista medio è circondato da persone che lo assecondano, gli danno ragione, la tua barzelletta (brutta) è sempre divertente, la storia (magari noiosa) è interessante. Questa cosa coltiva, in maniera impropria l’ego dell’artista facendogli fare una serie di errori. Per questo credo che il segreto sia continuare ad avere intorno delle persone che possano essere un contraddittorio, che ti stimolano e hanno il coraggio di dirti anche se una canzone è brutta”

Ruggeri fa alcuni esempi concreti:

“Io sono uno che quando va a fare i concerti arriva con la band, non vado in giro con quella che mi stappa la bottiglia, che mi versa l’acqua che mi pulisce la bocca dopo che ho bevuto. In effetti, invece, la media di questo tipo di vita è alta, nei miei colleghi. Probabilmente hanno meno voglia di inventare qualcosa di nuovo. Anche quelli che hanno un grandissimo successo comunque non inventando qualcosa di nuovo, perchè la gente li vuole così. Quando cambi non sei più stesso, se fai le stesse cose non sai evolverti. L’equilibrio è la cosa più auspicabile”

I giovani d’oggi sono diversi da quelli di un tempo ma, nello stesso tempo, forse più facili da catalogare nel futuro:

“Se uno fosse entrato nel mio liceo nel ’74 avrebbe trovato tre o quattro tipi di ragazzi. Ognuno aveva una certa idea politica, una certa musica da ascoltare. Oggi è molto più vario. C’è un mondo di incredibile potenza, da una parte… come conoscere il nome a memoria di tutti i tronisti degli ultimi sei anni. Si rimane affascinati da cose che per l’altra metà del mondo sono risibili. C’è il mondo delle discoteche, di quelli che alle 5 di mattina si domandano ‘Dove andiamo adesso?’ e poi c’è un altro mondo, avvantaggiato dal fatto che siccome ci sono tanti ragazzi che si buttano via, c’è una specie di selezione naturale notevole. Ai miei tempi (frase terribile, ride), era difficile capire quali sarebbero stati quelli che ce l’avrebbero fatta. C’era quello coi capelli lunghi e vestiti male che oggi magari è dirigente, oggi secondo me è abbastanza intuibile che quello che alle 5 di mattina si sta spostando da un rave di Rovigo a quello di Ferrara, difficilmente avrà le redini della società da adulto”

C’è anche una possibile lettura del fenomeno del Volo, nell’argomento dell’Italia che approda nel resto del mondo. Ricordate? Ne avevamo parlato anche noi del fastidioso luogo comune di pizza, musica classica e mandolino per sfondare all’estero e magari in America. Ruggeri approva il senso del discorso, parlando anche di sue esperienze personali:

“Nella musica è tutto, in sintesi, in maniera desolante. E’ retta da quattro multinazionali che dipendono quello che accade: tendenze, momenti del reflusso, del genere X o Y da immettere sul mercato. La musica straniera arriva in Italia e noi siamo tenuti ad ascoltarla o almeno scaricarcela gratis. Difficilmente riescono ad uscire e andare all’estero. Ci riescono quando incarnano quello che all’estero pensano del popolo italiano. Ho suonato all’estero e mi sono accorto che, in quasi tutte le conferenze stampa, la prima o seconda domanda era sempre “Sei un latin lover?”. Faccio quello che posso (ride). L’italiano è quello. Mi chiedevano della pasta, come ti piace la pasta, la pizza… eccetera. E ti rendi conto anche delle stesse realtà per altri paesi. In Francia per esempio c’erano dei messicani esattamente come li immagini: col sombrero. Erano gli unici messicani che sono riusciti a farlo, appunto per quello. Poi sicuramente ci saranno anche gruppi che fanno funky, metal ma funziona così… Solo i Sepultura sono riusciti a far musica differente da quella brasiliana che uno si aspetta e ‘vuole’ all’estero”

Arriva a citare anche Eros Ramazzotti:

“Quando il cantante italiana incarna quello che si pensa dell’Italia, allora può avere successo. Prima c’erano i cantanti italiani “Sono triste, sono qua…”, la sezione Albano, Cotugno. Adesso c’è un gradino ulteriore, Eros Ramazzotti. E’ il suo nome vero ma sembra studiato da un esperto di marketing: Eros di nome, perfetto e il cognome è una delle marche italiane più conosciute all’estero. Lui è già l’italiano della generazione seguente, quello che veste Armani, magari non ha le raffinatezze lessicali di De Gregori e De Andrè ma è già un gradino più avanti. Chissà, magari fra 40, 50 anni l’Italia riuscirà ad esportare anche i cantautori”

Il suo incubo peggiore è quello di svegliarsi una mattina, a 18 anni, e scoprire di dover ricominciare tutto da zero, dover rifare tutta la strada che ha fatto e percorso in questi anni.

“Ti fa riflettere e capire quanto è difficile farcela. All’inizio la fortuna è fondamentale. L’ho scritto anche nel mio libro, è la storia di un ragazzo che scrive una canzone di buon successo ma che non riesce poi a ripeterlo. E quindi i passaggi che lo devono condurre alla normalità, alla vita di tutti. Lui non ha il coraggio di scendere al bar che solitamente frequentava per dire “Non ce l’ho fatta”. Alti bassi, fino al finale con redenzione”

Ama Milano, la sua ‘scalata’ è stata segnata dall’avvicinamento a Milano. La trovo ospitale, piena di gente interessante, che anticipa i tempi.

“E’ una città in cui credo e quello che mi piace è l’alta concentrazione delle storie da raccontare”

Ricorda anche con affetto i suoi rapporti con Fiorella Mannoia e Loredana Bertè (ha scritto per loro ‘Quello che le donne non dicono” e ‘Il mare d’inverno’).

“Scrivo canzoni per il piacere di farlo, senza mai pensare a chi sarà destinata. Negli anni ’80 scrivevo tantissimi testi e non riuscivo ad inciderli tutti. Nel 1983 vengo avvicinato da Ivano Fossati al Festivalbar. Io ero un ragazzino emergente e mi ha chiesto se avevo delle canzoni: gli ho fatto sentire Il mare d’inverno. E’ piaciuta, si sono fidati di me e ha fatto il singolo dell’album. Quattro anni dopo, avviene il contrario. La musica era di Luigi Schiavone: mi consegna questa cassetta e io inizio a scrivere il testo… Ci fanno compagnia certe lettera d’amore… Inizialmente senza sesso. Poi, mentre lo scrivo, mi accorgo che diventa sempre più femminile… Portaci delle rose… La buona intenzione è stata il titolo, un manifesto programmatico molto accattivante. Capisco di non poter essere io a cantarlo. Volevo darlo ad una cantante che si chiamava Lena Biolcati. Una mia collaboratrice dice ‘Ma perchè non la diamo a Fiorella Mannoia?’. Qualcuno disse ‘Chi??’. Non era ancora conosciuta in quel periodo, ma la scelta fu azzeccata. Venne presa a Sanremo, credo anche grazie a questa canzone, e vince il Premio della Critica. Fu importante perchè io quell’anno vinsi il Festival con Si può dare di più, molto nazional popolare. Fu un’incursione nella musica pop che poteva essere pericoloso. La vittoria, invece, del premio della critica fu un contraltare: ho vinto con quella canzone ma ho anche scritto il testo di quella”

si può dare di più

Il suo rapporto con Sanremo?

“Medicina da prendere con cautela. Io ci sono andato spesso, ne ho vinti due, a volte sono arrivato ultimo o non ho vinto. Alla fine del Festival usciva il mio disco e partiva un tour, indipendentemente dal risultato. Sanremo è un modo veloce per dire alla tua gente che è uscito il tuo disco. Qualcuno deve vincerlo e ci sono 3 gradi di giudizio: vittoria festival, la vendita immediata e il tempo. Sono orgoglioso perchè quasi tutte le canzoni di Sanremo si ricordano e mi vengono ancora chieste. Ai tempi d’oggi, Sanremo ha lo scopo di fare grandi ascolti. Si fanno mantenendo un atteggiamento conservatore, il rito, introducendo con cautela qualcosa di nuovo. Negli ultimi 10 anni risponde al principio: 2/3 cantanti tradizionali amati al Sud, 2 cantautori 2 idoli delle ragazzine, due donne di cui una con qualche squilibrio mentale per far parlare i giornali, un nome trend… Una conformazione ben precisa. Funziona molto di più, però, per la tv generalista. “

La sua incursione nel mondo televisivo non viene rinnegato ma, anzi, spiegato:

“Luca Tiraboschi cinque anni fa mi ha visto in teatro, a cantare, e gli sono piaciute le cose che dicevo tra una cosa e l’altra. Mi ha chiesto di fare televisione: voglio che tu faccia una cosa che assomigli a te. Ho pensato che poteva essere una cosa interessante e arrivò “Il bivio”, la differenza tra il caso e il libero arbitrio. Ho fatto 3 edizioni, poi “Quello che le donne non dicono”. Poi è arrivato “Mistero”. Io parto dall’idea che mi piace raccontare le storie, qualcosa agli altri. Mi intrigava, ho conosciuto persone che non avrei mai incontrato nella vita. Persone che hanno storie spaventose che però decidono di andare in giro a raccontare storie che non hanno vantaggio (anzi alcuni sono stati licenziati, lasciati…): una signora sarda, di 18 aborti, viene colpita dai sassi dalla gente che la ritiene una strega. Il risultato di Mistero è stata un “Si può dare di più” alla terza potenza: passo metà della vita a rispondere alla gente che mi chiede “Perchè non fai più Mistero?” e metà “Perchè hai fatto Mistero?”. Ho fatto molti ascolti e che mi ha consentito anche di diventare popolare per gli extracomunitari. Non conosce i cantautori italiani ma ti riconosce dai programmi in tv. Poi mi hanno fatto la proposta di X factor, molto interessante, che permetteva di unire la musica e la dialettica”

I suoi gusti musicali sono molto legati al passato:

“Ho vissuto una stagione davvero esaltante, ai miei tempi, dal punto di vista musicale. Ti piace il rock duro? C’erano i Led Zeppelin, Deep Purple. Ti piaceva la musica decadente? Lou Reed, Iggy Pop, David Bowie. C’era la psichedelia, c’era Bob Dylan… C’era talmente tutto che io sono arrivato fino al punk, ultima grande rivoluzione spontanea di base. Poi ho assistito a delle grandi repliche. Mi faceva sentire Marilyn Manson? Io gli facevo ascoltare Alice Cooper, i Kiss. I Green Day? Io rispondevo Clash e Sex Pistols. Gli facevo sentire quelli da cui i suoi autori avevano copiato. Oggi è difficile che qualcuno mi meravigli. La musica italiana soffre di una crisi da quando è nata l’attitudine a scaricarsi musica gratis. Le case discografiche hanno iniziato a licenziare persone e non hanno più soldi, quindi non hanno attitudine ad investire su nuovi. Artisti come me, Cocciante, Baglioni, Battiato e tanti altri sono nel tempo da molti anni e non hanno fatto il successo col primo album, ma magari col quarto o quinto disco. Erano persone che valevano e le case discografiche avevano l’occasione di investire. Ora invece fai un singolo che non piace a Linus, a Rtl e quindi l’artista non può nemmeno fare l’album”

Infine una riflessione per nulla banale:

“Se il Fabrizio De Andrè del 2015 ha cambiato mestiere, lo dobbiamo a quelli che scaricano la musica gratis”

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