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Lady Gaga: “Born This Way”, la recensione

Incredibile riuscire a spiegare quello che questa donna è stata capace di creare in un paio di anni: partita in sordina con un Ep che nemmeno lei forse ricorda, nel giro di due album è stata in grado di alzare un vero impero al cui interno non troviamo solo canzoni e microfoni ma tanto altro.

pubblicato 23 Maggio 2011 aggiornato 16 Ottobre 2020 16:28

Incredibile riuscire a spiegare quello che questa donna è stata capace di creare in un paio di anni: partita in sordina con un Ep che nemmeno lei forse ricorda, nel giro di due album è stata in grado di alzare un vero impero al cui interno non troviamo solo canzoni e microfoni ma tanto altro. Il fenomeno Lady Gaga è servito e porta con sè tutte le conseguenze del genere, conseguenze che non si vedevano dai tempi di Britney Spears o Madonna: non si parla solo di milioni di copie vendute ma di un vero e proprio marchio di fabbrica che costringe le persone, come se fossero sotto effetto di una forte ipnosi, ad andare incontro a tutto ciò che abbia la parola “Gaga”, compresa la carta igienica con sopra stampata la sua faccia (sono sicuro che da qualche parte esiste).

E così, dopo “la fame” ed “i mostri”, è il turno delle “rinascite”, quelle anticipate da uova, Giuda e glorie, caratteristiche che hanno presentato in breve il sapore del capitolo terzo “Born This Way”, l’ultimo album in uscita proprio oggi e di cui dopo il salto vi mostriamo la nostra recensione a doppia mandata: si alternerà infatti col sottoscritto il nostro Alberto Graziola in modo da offrire, dopo l’anticipazione di Zago, una panoramica un pò più completa su quelle che possono essere le opinioni in merito ad un disco molto atteso che probabilmente si appresterà a vendere nella settimana del debutto quasi 2 milioni di copie a livello mondiale (queste sono le previsioni operate da alcuni addetti al settore).

Dai matrimoni notturni siamo arrivati ai governi ladri per poi passare attraverso bambini cattivi, capelli strani, americani ed unicorni. Se non avete capito molto leggendo le ultime due righe vi anticipo che siete sulla buona strada: è proprio questo il modo giusto per avvicinarsi a questo ultimo lavoro di Germanotta il cui mondo risulta essere strano, buffo, bizzarro, sui generis, particolare, quasi incomprensibile. Tutto bene fin qui, peccato però che poi tutto si riduce con l’essere tutto fumo e niente… ne riparliamo dopo la pausa.

Marry The Night. L’organetto di partenza fa ben calare nel mondo spettrale di Gaga e fa anche ben sperare, questo almeno fino a quando la prima rottura “dance” sopraggiunge disturbando: nel momento in cui il beat rompe lo schema viene da dire “ci risiamo”. Per fortuna però il tutto non è così malvagio come potrebbe sembrare: strofe che evitano la truzzagine e chitarre elettriche che conferiscono al pezzo un’atmosfera di grinta differente rispetto a ciò che di solito si sente in giro (non c’è comunque originalità) fanno guadagnare punti ad un pezzo che per questi motivi e stato ripreso dalla caduta con le pinzette. Si salva sul filo del rasoio. Voto: 6

Alberto Graziola. Canzone che parte lenta, sale, esplode: da un inizio malinconico diventa allegra e vivace, facendo apertamente l’occhiolino agli anni ’80. Voto: 7/8

Born This Way. Se uno psicologo dovesse analizzarmi con la tecnica delle associazioni libere e prendesse in esame il pezzo in questione io esprimerei così di getto la parola “gioia”. E’ proprio questa l’emozione che suscita la canzone. Ti scordi che a cantarla è Gaga, ti scordi che sembra essere una copia di “Express Yourself”, ti scordi del video relativo: grancasse, melodie lineari, chitarre elettriche che intervengono ad hoc e parole molto semplici sono gli elementi che mischiandosi riescono a lanciare un messaggio di rilassatezza, spensieratezza e di svago. Si sorride quindi (ecco perchè la “gioia”)… ma non si è felici. Voto: 6 e mezzo

Alberto Graziola. Troppa attesa? Troppo clamore? Troppe polemiche? Doveva sconvolgere e diventare un inno mondiale e travolgere. Ha colpito ma non ha travolto. Del resto per diventare un classico serve molto tempo, anni.. Per ora, promossa. Voto: 7

Government Hooker. Dopo un esordio “ecclesiastico” determinato da un falsetto che vola “nell’alto dei cieli” si sprofonda nel “deep” più profondo dell’elettronica, quella pesante (pesante). E l’ossimoro è così servito con la conseguenza che l’attenzione verso questo pezzo si mantiene alta fin dalle prime note… e si continua fino alla fine, anche grazie ad una buona varietà di controcanti e cori che, non lasciando mai spazi vuoti, danno continui spunti di riflessione vocale senza i quali il pezzo avrebbe perso di appeal. Voto:7

Alberto Graziola. Mix di suoni e di voci che parte come una canzone perfetta per le 5 di notte in discoteca ma che nel testo presenta un’interessante riflessione sul potere. Seducente. Voto: 7 e 1/2

Judas. Gaga vecchio stile, quella che ci ha fatto impazzire (giusto per ricordare alla gente che lei non “tradisce”). Ripete il suo nome, come quello di Giuda, all’infinito ed è così martellante che poi sei costretto a ricordarti che come tormenta piacevolmente lei non tormenta nessuno. La struttura è sempre la stessa (l’abbiamo già detto in altre occasioni ma lo ripetiamo): hook, strofa, ritornello, ponti, bridge parlato e vissero tutti felici e contenti. Voto:8

Alberto Graziola. LA bad romance 2.0? Si? No? Sicuramente è esplosiva come il brano del vecchio album di Gaga. Ha scatenato polemiche ancora prima di uscire e boicottaggi. Ma è da rivalutare. Voto: 7 e 1/2

Americano. Mandolini, violini e rullo di tamburo, tutti elementi tipici della vecchia musica napoletana. No, non è Gigi D’Alessio: il suo nome è “Alejandra”, oops, Lady Gaga (lapsus influenzato dalla musicalità del pezzo). Il tutto è così assurdo, così trash e così irritante che in un batter d’occhio ti ritrovi a ridere a crepapelle per la stramberia con cui la cantante ti costringe a relazionarti. Immaginate un amico che vi obbliga ad andare ad una festa alla quale voi non avreste voluto mai mettere piede: all’uscita gli dici “mannaggia a te, non ci tornerò più”, eppure qualche strano brivido provato durante il party lo porterete sempre vivo nei vostri ricordi. Ecco, questo è lo stesso effetto che provoca il brano. Voto: 5 e mezzo

Alberto Graziola. Canzone contro le discriminazioni, “spagnoleggiante”, malinconica, che parla di diritti e contraddizioni. Ritmo alla “mambo italiano”, per il concetto “non solo canzonette”. Voto: 8

Hair. Inizio: pianoforte e tromba che richiamano alla mente un mood anni ’90; continuo: interviene la batteria che invece suggerisce qualcosa alla Ryan Tedder; si entra nel vivo: i suoni elettronici e il giro di batteria fanno capire che a spuntarla non sono nè gli anni ’90 nè Ryan Tedder ma Katy Perry, quella vecchia volpe. E Lady Gaga? Chiamiamo “Chi l’ha visto”? C’è addirittura la prima parte del bridge in cui una ragazzina, che si spaccia per Germanotta, canta con fare dolce. La cosa peggiore? C’è anche “l’autoscopiazzamento”: l’ultimo brano del disco è la canzone incriminata. Voto:4

Alberto Graziola. Già sentita come singolo promozionale pre album, è arrivata dopo il colpo di fulmine di The edge of glory. Sognante e rilassante. Voto: 7

Scheiße. “Non so parlare tedesco ma se ti piace lo posso fare”. Ma chi te l’ha chiesto? La Merkel? Ti è venuto Hitler in sogno? Si poteva fare tranquillamente a meno dell’introduzione (che si ripete anche in altri punti del pezzo). Tolta questa parentesi che dire sul brano? Stile pop dance con incursioni techno ed elettroniche: senza anima, coinvolge solo chi vuole ballare ma non chi vuole ascoltare buona musica. Voto: 4

Albero Graziola. Dopo un inizio robotico con voce modificata, diventa una canzone dance simpatica ma non esaltante. E così via. Voto: 6

Bloody Mary. Molti elementi, come quelli classici, risultano essere davvero interessanti. Peccato però che vengono mal utilizzati a causa del piglio flemmatico che caratterizza la canzone. Voto:5 e mezzo

Alberto Graziola. Tono e voce funeraria, poi prende quota senza mai diventare vera diventare tormentone uptempo. Un po’ marcia. Decidete voi per quale funzione. Voto: 6 e 1/2

Bad Kids. Pezzo molto dinamico pieno di sinth e cambi di melodia. Anche qui le chitarre elettriche danno il giusto contributo. Voto: 6+

Alberto Graziola. Ecco la canzone da skippare che non manca mai in ogni album che si rispetti. Voto: 5

Highway Unicorn (Road To Love). Da un paio di pezzi a qusta parte l’ascoltatore incomincia ad annoiarsi. Le basi sono tutte buone (questa che mischia rock ed elettronica appare molto gustosa). Forse quello che sta mancando sono le belle melodie piene di passione. Voto: 5 e mezzo

Alberto Graziola. Dopo il passo falso della canzone precedente, si risale ma non ci si entusiasma nemmeno. Inizio a temere di aver già sentito il meglio nelle tracce precedenti alla metà dell’album… Voto: 6 e 1/2

Heavy Metal Lover. Eh si, non ci sono più dubbi. Lady Gaga a partire da metà album (forse un pò prima) ha incominciato a perdere colpi fino a trovare il punto più basso con questa bella fregatura in cui manca il “metal”, genere o influenza a cui il titolo del brano alludeva. Solita roba elettronica: c’è anche la tipica apertura della base che di solito i dj passano nelle serate in discoteca (quella che da sfocata permette al pezzo di respirare e di assumere chiari connotati). Che stanchezza. Voto: 3

Alberto Graziola. Niente vero “heavy metal”, resta solo nel titolo. Un’altra canzone che probabilmente salterò. Voto: 5 e 1/2

Electric Chapel. S’è presa na fissa lei, le cappelle, Gesù e Giuda: l’album è pieno zeppo di riferimenti al classico, al latino. Abbiamo capito che si vuole cercare l’effetto “mortuario” per colpire e per dare un filo di continuità col “monster” ( e fino ad un certo punto va pure bene) però il troppo storpia. Voto: 5 e mezzo

Alberto Graziola. Tuffo nel passato con questa canzone che potrebbe fare da colonna sonora di un film anni 80/90. Ma si lascia ascoltare con piacere. In certi momenti mi sembra di ascoltare la voce di Madonna dei primi anni, particolarmente nel ritornello… Voto: 6 e 1/2

You And I. Lady Gaga sta per finire il suo concerto e vuole essere applaudita: allora inizia a richiamare la sua folla affinchè questa gridi a gran voce il suo nome accompagnata da una marea indescrivibile di claps. E sono proprio questi, insieme alla batteria ed alle solite chitarre elettriche, a snaturare un pezzo che secondo il mio parere doveva essere meno pieno e più semplice. Ancora che sta li a rivolgersi a Gesù Cristo? Se fra qualche anno mi ritorna buddista mi sente. Detto questo va comunque ammesso che il modo di cantare questo brano è a dir poco superbo: l’intenzione un pò country ed un pò brit fa davvero bene. Voto: 6 e mezzo

Alberto Graziola. La ballata che già avevamo ascoltato, in una versione studio che non toglie quella semplicità iniziale che aveva ottenuto consensi da molti: Voto: 8

The Edge Of Glory. Lady Gaga featuring Katy Perry. Come? Dalla regia mi dicono che quest’ultima avrebbe dato un bidone alla sua collega lasciandola da sola? Tant’è, Miss Gaga ringrazia per averle concesso la musica. Melodia accattivante supportata da un crescendo vocale ed armonico nel ritornello. Singolo potente ma delude le aspettative. Voto:6

Alberto Graziola. Mi ha conquistato e colpito fin dal primo ascolto, dall’anteprima. Meravigliosa. Trasmette energia, è forza pura. Non martellante disco ma anche sonorità nostalgiche con una voce e una musica più che accattivante. Voto: 9

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