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Two Door Cinema Club: molto rumore per nulla?

I Two Door Cinema Club, a giudicare da quanto se ne parla, sembrano essere il gruppo indie del momento all’estero. I ragazzi, tutti giovanissimi, vengono dall’Irlanda del Nord e incidono per la trendissima Kitsuné, etichetta francese solitamente votata all’elettronica ma che ogni tanto non disdegna incursioni nella musica strumentistica. Hanno suonato in Italia a febbraio

di cesare
pubblicato 12 Maggio 2010 aggiornato 7 Settembre 2020 15:34

I Two Door Cinema Club, a giudicare da quanto se ne parla, sembrano essere il gruppo indie del momento all’estero. I ragazzi, tutti giovanissimi, vengono dall’Irlanda del Nord e incidono per la trendissima Kitsuné, etichetta francese solitamente votata all’elettronica ma che ogni tanto non disdegna incursioni nella musica strumentistica.

Hanno suonato in Italia a febbraio e, a quanto pare, torneranno verso fine anno. Di loro si dice un gran bene e in molti li acclamano come la next big thing. In realtà però, piuttosto che tesserne le lodi, vorrei prenderli ad esempio per aprire una piccola polemica.

Li ho ascoltati, ho guardato i loro video (ne trovate alcuni dopo il salto) e… insomma, mi manca solo la dimensione live per poterli giudicare appieno. L’impressione che ne ho ricavato per ora però non è particolarmente positiva. Partiamo dal look: studiato, studiatissimo per essere “à la page” e colpire. Studiato, troppo studiato.

Studiato al punto da apparire finto. Così come i loro video in cui si sprecano i clichés. Passiamo però alla parte più importante: la musica.

Ecco, parlando di musica, i Two Door Cinema Club, vengono accreditati di fare indie ed electropop. A parte la vaghezza e l’inutilità di etichette ormai così usurate e omnicomprensive, la mia opinione per ora è che i Two Door Cinema Club non siano altro che un pastone di clichés; un po’ come i loro video. Un miscuglio di alcuni dei componenti di successo delle band indie degli ultimi anni. Un po’ di punk-funk Bloc Party di qui, un po’ di etno/new wave dei Vampire Weekend di là, il tutto con un diffuso richiamo al brit-pop che funziona sempre. Niente affatto inascoltabili, anzi estremamente easy listening e accattivanti per l’ascoltatore medio. Vi chiederete e allora cosa c’è di male?

Quel che c’è di male, a mio modo di vedere è che tutto, nei Two Door Cinema Club suona molto, troppo posticcio e “precisino”; non c’è niente fuori posto: ma a originalità stiamo a zero o quasi. Sono, per citare un singolo di un altro gruppo molto “costruito” di qualche anno fa (gli Hard-Fi): una potenziale perfetta Cash Machine. Può darsi che sia tutto frutto del caso e che nulla sia stato costruito a tavolino, ma il sospetto resta. Quello che preoccupa di più è che di solito queste operazioni “farlocche” le mettono in atto le major quando si trovano a che fare con generi tipo il pop puro, quello da milioni e milioni di dischi; non etichette semi-indipendenti che operano in ambito indie/electro come la Kitsuné.

Ma si sa, i tempi cambiano e i mercati pure, sponsor e multinazionali hanno capito che con l’avvento di internet, le nicchie sono mercati sempre più appetibili e quindi quello che un tempo era per pochi oggi può diventare, col giusto marketing, un affare per tutti. Tutto questo lo dico col beneficio del dubbio. Può darsi che mi sbagli e che sia stato troppo severo coi Two Door Cinema Club; che non sia questo il caso, spero di avere l’occasione di sentirli live e di scoprire che invece sono musicisti veri con più idee che vestiti nel guardaroba. Per l’intanto, torno ad ascoltarmi i Lighting Bolt.

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